a cura della dottoressa Sara Di Biase

Ognuno di noi desidera fare “bella figura” o evitare “brutte figure” e preferisce ricevere valutazioni positive; la stima degli altri può nutrire l’autostima oppure può essere considerata uno strumento che favorisce la vicinanza e l’affetto delle persone.

La vergogna è il campanello di allarme che suona quando percepiamo di aver fatto o che stiamo facendo una “brutta figura” ed esprime il timore e/o il dispiacere di ricevere valutazioni negative dagli altri, giudizi che è necessario condividere per provare tale emozione.

Quando ci vergogniamo sudiamo, balbettiamo, arrossiamo, la voce trema, la postura è dismessa, evitiamo lo sguardo dell’altro tenendo gli occhi bassi, desideriamo essere altrove, fuggire, sprofondare e sparire dalla situazione, “dalla faccia della terra”. Spesso il provare vergogna può essere oggetto di ulteriore vergogna perché indica debolezza, insicurezza, dipendenza dal giudizio altrui. In questo caso si parla di Meta-Vergogna, ossia la vergogna della vergogna.

La vergogna ci informa su come ci sentiamo nei confronti degli altri ed è anche un regolatore di quello che facciamo o non facciamo; molto spesso, infatti, è proprio per evitare di provarla che si fa o non si fa qualcosa.

La vergogna è un’emozione transitoria e ha la tendenza a dissiparsi da sola. A volte la penosità dell’emozione fa si che la persona attui strategie per ridurla rapidamente al fine di farla scomparire, ad esempio, può distogliere l’attenzione. Talvolta, la vergogna si può fare dominante e la persona tenta di fare il possibile per non provarla, ad esempio, può isolarsi, cercando di evitare ogni contatto con l’altro: ne consegue solitudine e la persona può soffrire anche per questo. Possiamo osservare, però, che nell’immediato, l’isolamento funziona perché, di fatto, la persona, evitando la situazione sociale, sente di aver “scampato il giudizio negativo”; purtroppo, pare che, con il passare del tempo, tale condotta comportamentale (evitamento) invalidi la vita di chi la utilizza interferendo significativamente nella quotidianità. In questo caso, è molto probabile, che la persona sia affetta da un disturbo chiamato Fobia Sociale, che consiste nella persistente e marcata paura di essere giudicati o criticati dagli altri. Le situazioni più comunemente temute sono: mangiare, bere, parlare in pubblico, scrivere alla presenza di altri e gli eventi sociali in cui è possibile dire “qualcosa di sciocco”. Solitamente chi soffre di questo disturbo si descrive come una “persona timida” e spesso imputa il proprio disagio alla sua timidezza, considerando quest’ultima una  caratteristica di personalità stabile e scarsamente modificabile e dunque non ricorre al necessario trattamento di cui avrebbe bisogno. La persona timida ha indubbiamente un’eccessiva attenzione ai propri vissuti ma non risente dei grossi disagi ed evitamenti peculiari della persona affetta da fobia sociale. Evidenziare questa distinzione è importante perché la fobia sociale è un disturbo piuttosto diffuso, il quale, se non trattato, può comportare un alto rischio di cronicizzazione e disabilità.