A cura di Francesca Davini e la Dott.ssa Martina Di Biase

Il rossore pervade le guance, la sudorazione aumenta e il battito cardiaco incalza; la balbuzie si presenta, il tono di voce talvolta si abbassa, il respiro diviene corto, così come la parola strozzata: queste sono solo alcune delle manifestazioni fisiologiche che caratterizzano la persona timida, sperimentate in situazioni interpersonali e accompagnate da affettività negativa, bassa autostima e inclinazione a restringere o evitare le relazioni con gli altri. È proprio con la timidezza, ostacolo e barriera tra sé e il mondo esterno, che molti artisti hanno dovuto fare i conti, riuscendo a superarla proprio grazie al teatro o al cinema. Giulio Scarpati, il papà che tutti vorrebbero di “Un medico in famiglia”, ha imparato ad accettarsi e ad andare oltre il suo imbarazzo e, a tal proposito, dichiara: “Spesso gli attori sono dei grandi timidi nella vita, poi in scena, sul set, cambia tutto: ti “devi” esporre, solo che in realtà non sei tu. Allora si trova la forza, il coraggio di osare e di superare la paura di non farcela. Per me, il palcoscenico è stata l’unica pillola contro la timidezza, una sfida da vincere con me stesso”. Lo stesso mezzo espressivo ha aiutato Richard Gere e perfino Brad Pitt che hanno usato la recitazione per calarsi in ruoli e personaggi diversi, comunicare e non sentirsi impacciati. Anche la regina del pop Lady Gaga e la tanto amata Julia Roberts hanno dovuto confrontarsi con le difficoltà che questo tratto di personalità si porta dietro.

La timidezza, però, non è l’unico scoglio da battere, tanto che a questa si affianca la balbuzie, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1977) come un disordine nel ritmo della parola in cui la persona sa esattamente cosa vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà. Conseguentemente al disagio vissuto nella comunicazione, il balbuziente presenta emozioni negative quali rabbia e vergogna, forte senso di insicurezza, scarse relazioni sociali e compromesse prospettive professionali. Anche qui, la recitazione ha rappresentato per molti la migliore strada, come afferma Bruce Willis “Il teatro mi ha aiutato tantissimo. Quando memorizzavo le parole e le battute intere, non balbettavo più. È stato come un miracolo, o meglio.. l’inizio della soluzione al mio difetto” o ancora il presentatore televisivo Paolo Bonolis “Ho deciso di far parte del gruppo teatrale della scuola e recitando, mi sono accorto che, quando dicevo la mia battuta, non balbettavo più”.

Il teatro rappresenta, quindi, l’anello di congiunzione, l’elemento comune che si cela dietro le tante celebrità che oggi brillano nel mondo dello spettacolo. Ma qual è la sua storia? Dove nasce il teatro, qual è il suo significato e l’importanza che riveste?

Sin dall’antichità, i costituenti fondamentali del teatro sono la comicità, realizzata attraverso il ludus, e la maschera, utilizzata per consentire al pubblico di riconoscere e identificare i personaggi presenti sulla scena quali tipi fissi, che svolgono ruoli stereotipati. Storicamente, affonda le proprie radici nell’Antica Grecia, in cui diviene uno spunto di riflessione profonda circa tematiche esistenziali e questioni riguardanti la sfera sociale, oltre ad essere un momento di coinvolgimento politico e religioso. Così inteso, caratterizzato dalla rappresentazione di tragedie e commedie, il teatro assume la funzione di “cassa di risonanza” per le idee, i problemi e la vita culturale e politica dell’Atene democratica.

È da autori greci come Aristofane e Menandro per la commedia e come Eschilo, Sofocle ed Euripide per la tragedia che i commediografi e tragediografi latini hanno attinto, volgendosi ad essi come modello insuperabile e fonte obbligatoria. A Roma, dove prevale il genere comico e spiccano le figure di Plauto e Terenzio, il teatro diviene invece un genere di intrattenimento collettivo, perdendo così quel forte valore educativo che aveva avuto per i Greci.

Se in Grecia prima, non fosse nata l’esigenza di realizzare la vita comune della polis e a Roma poi, non si fosse preso spunto dalla Commedia Greca per fare del teatro un genere di svago e di riflessione più o meno impegnata, probabilmente oggi non avremmo mai conosciuto e sperimentato il genere teatrale, in grado di coinvolgere e riunire grandi gruppi di persone, che non solo desiderano intrattenersi, ma anche riflettere su tematiche importanti.

Le rappresentazioni teatrali antiche hanno quindi lasciato una grossa eredità al teatro moderno di tutta Europa, gettando le basi di un genere che ha avuto grande successo nella storia. Basti pensare a William Shakespeare che, ai tempi della Regina Elisabetta I Tudor, ha messo in scena opere in cui il tragico e il comico si alternano e si mescolano per raccontare l’esperienza umana con tutte le sue contraddizioni, o in Italia, a Carlo Goldoni che, artefice del rinnovamento della commedia, ha manifestato la necessità di attingere direttamente alla realtà, osservarla e tradurla in termini teatrali. Questa esigenza di divenire specchio del reale matura anche nella personalità di Luigi Pirandello: teso a rappresentare l’essenza delle cose, la sua opera mette in scena la vita senza maschera, quale essa è nella sua sostanza. Uno dei capolavori pirandelliani che merita di essere citato è “Sei personaggi in cerca d’autore”: riprendendo l’antico artificio del “teatro nel teatro”, sei personaggi, nati dalla mente di un autore che si è rifiutato di scrivere il loro dramma, vanno alla ricerca di una compagnia teatrale al fine di mettere in scena e dare forma alla loro vita. Nel vano tentativo di raccontarsi e di esprimere i loro sentimenti agli attori, che non riescono ad immergersi completamente nei fatti narrati, si evidenzia l’incomunicabilità e l’impossibilità intrinseca di mettere in scena la vita altrui. A tal proposito, significative sono le parole di Pirandello tratte dall’opera stessa “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci, ma non ci intendiamo mai!”.

Il teatro non deve ora essere concepito solo come rappresentazione e creazione di movimento a fini estetici e narrativi, ma anche e soprattutto come espressione del mondo psichico, in cui albergano pensieri, emozioni e motivazioni: non esistono fatti da rappresentare, ma storie personali a cui dare voce dove l’obiettivo della rappresentazione teatrale diviene l’espressione del sé. Nel parlare di teatro nella sua accezione più psicologica, significativa è la figura di Jacob Levi Moreno, psichiatra di origine rumena e padre dello psicodramma. Quest’ultimo, resosi conto di come il gruppo funzionasse da agente terapeutico, delinea una forma di psicoterapia di gruppo in cui ciascuno esprime se stesso e il proprio vissuto, esteriorizzato e condiviso sul palcoscenico, al fine di promuovere una presa di coscienza attraverso la possibilità di rivedere e rivivere il proprio problema, sia dall’interno come protagonista che dall’esterno come spettatore. È da qui che emerge lo status di luogo protetto dove poter sviluppare processi di consapevolezza, in cui spontaneità e creatività sono le componenti principali attorno a cui tutto ruota.

Ma.. il vero spettacolo non è forse sentirsi magicamente rapiti e un po’ trasformati dalla meravigliosa atmosfera che si respira a teatro? Non è forse essere pervasi dall’aria inebriante che, con grande serietà, gioca a rendere reale il sogno più segreto e, al tempo stesso, a farci sognare altre realtà possibili? Dunque, se non tutti conosciamo la storia di vita del teatro, probabilmente ancor meno sappiamo che questo può offrirci l’occasione di trasformare lo scenario della nostra esistenza. In che modo? Facciamo un salto indietro nel tempo..

Con l’avvento del colonialismo del diciannovesimo secolo, la scoperta dei teatri orientali divenne in Europa un’importante fonte di ispirazione al progresso pedagogico di molte ricerche innovative riguardanti l’arte della recitazione. Noti pedagogisti teatrali, fra cui Konstantin Sergeevič Stanislavskij, mostrarono curiosità e interesse nel confrontarsi con questo approccio d’oltreoceano fatto di veri e propri spettacoli recitati anche attraverso la danza, il canto, le marionette, i burattini, le ombre cinesi e molto altro.  Ne maturarono quindi fusioni significative, dalle quali ha germogliato il superamento dell’idea verbale appartenente alla recitazione occidentale, fino addirittura a sviluppare nel tempo, con l’influenza anche delle correnti psicoanalitiche nascenti, una funzione di cura psicologica attraverso l’implementazione delle capacità creative e della potenza comunicativa corporea.

La teatroterapia nasce, dunque, come uno strumento utile a favorire la consapevolezza del Sé e del proprio modo di relazionarsi con gli altri e con il mondo esterno. Lo scopo è, infatti, conoscere se stessi nella propria totalità: l’attore si spoglia di tutto, per scoprire nuove visioni del Sé, a rinforzo delle cure psicoterapeutiche, senza sostituirle.

Nell’improvvisazione, ad esempio, ci si avvale di uno spazio di finzione dove transitare liberamente tra realtà psichica ed esterna, sviluppando un senso di potenza su di Sé e sull’ambiente circostante: ciascuna persona sperimenta, prima, il gioco simbolico e transizionale, in cui ognuno è concentrato su di sé pur “diventando” contemporaneamente anche qualcos’altro, e dopo, entra nel gioco di gruppo, regolato da norme oggettive, in cui abbandona l’egocentrismo iniziale. L’obiettivo principale è creare un’opportunità in cui acquisire coscienza non solo delle proprie potenzialità, ma anche del proprio ruolo quotidiano, così da ricongiungersi con esso e superare gli eventuali conflitti interiori, causati talvolta dalla presenza di una patologia fisica o psicologica.

Dunque, la malattia o la situazione di disagio psicologico possono essere scoperte, riconosciute, elaborate e comunicate attraverso il linguaggio dell’arte, con un tocco creativo, che permette quell’interiorizzazione costruttiva caratterizzata da un’accezione positiva e trasformativa: tutto ciò favorisce una buona autostima, in quanto rafforza una sana autoapprovazione e molti strumenti socio-relazionali.

Oltre a questo, la teatroterapia è la testimonianza di una realtà divulgata attraverso la rappresentazione; è intrisa di intenti diversi, finalizzati a creare cultura, inclusione sociale e sensibilizzazione del pubblico. E qui, è il luogo che fa la differenza: in teatro, dove “tutto è possibile”, lo stigma si scioglie e persino lo spettatore comprende meglio una specifica realtà ed esce da pregiudizi e stereotipi personali e collettivi.

“L’attore non recita, non imita, o pretende. Egli è se stesso.”

                                                                      Jerzy Grotowsky