di: Dario Pappalardo
Trattamento delle Psicosi nel Servizio Pubblico
Roberto Lorenzini, in questo workshop, parla candidamente della sua esperienza pluridecennale con i pazienti psicotici. Lo fa con atteggiamento misto di grande umanità, ironia, autoironia, gioia di vivere, e, senza farlo pesare, anche di grande professionalità.
È l’occasione per la presentazione del suo libro “Trame di vita intrecciate”, che raccoglie le sue storie di pratica psichiatrica nel servizio pubblico territoriale, quasi una risposta al suo libro del 2013 “Storie di terapia” dove invece ha raccontato la pratica psicoterapeutica in ambito privato.
L’incontro è un orgoglioso e riconoscente elogio a quella parte di servizio pubblico italiano che si è battuto e si batte da molti decenni per il pronto intervento e la presa in carico di una popolazione di pazienti di cui solitamente il settore privato non riesce o, in taluni casi, di cui preferisce non occuparsi: gli psicotici, divisi nella sua fluida e sintetica presentazione in psicotici deliranti e psicotici schizofrenici, i quali hanno un modo diametralmente opposto di rispondere ad una devastante invalidazione dei propri temi di vita: i primi, più tipicamente in tarda età, si arroccano sulle loro credenze anche se smentite da continue evidenze del contrario; i secondi, normalmente a partire dall’età adolescenziale, cioè quando si esce dal proprio nucleo familiare per incontrare la vita esterna, la quale spesso ci colpisce forte con raffiche di invalidazione e delusioni, si destrutturano a tal punto da non definirsi mai.
Il messaggio del suo intervento molto chiaro e più volte ribadito durante l’incontro è che ogni delirio è derivabile, ed è quindi, in ultima analisi, comprensibile. Non c’è a priori qualcosa di compromesso a livello neurocognitivo che porta la persona a sviluppare ad un certo punto deliri, ad esempio di gelosia o di grandezza, oppure comportamenti bizzarri di vario tipo. Tra i vari esempi che vengono illustrati uno dei più illuminanti riguarda quello di una vecchia paziente che aveva uno strano comportamento stereotipato, un movimento ripetitivo del braccio come a battere qualcosa sul tavolo: indagando la storia di vita della paziente emerse che costei impazzì dopo la morte del compagno, il quale di professione faceva il calzolaio ed era uso battere i chiodi nelle suole delle scarpe proprio nella maniera del gesto osservato nella paziente.
Un altro principio cardine è che il delirio serve al paziente, serve al mantenimento dei suoi scopi di vita. Se questo delirio cadesse la persona si troverebbe a gestire una realtà insopportabile in quanto incompatibile con i propri temi di vita. Ed è quindi fondamentale non togliere quel delirio prima di avere posto le basi per sostenere una riconversione dei temi di vita del paziente, oppure addirittura lasciarglielo riducendo i comportamenti oggettivamente dannosi o costosi. A titolo d’esempio Lorenzini porta la storia di una paziente di 55 anni, abbandonata dal marito per una ragazza molto più giovane, per questo caduta in depressione, e qualche mese dopo abbandonata anche dalla figlia adulta, stanca di occuparsi di lei. Inoltre la paziente era andata in pensione. Si trovò quindi, per parlare di devastanti invalidazioni soggettive, ad essere senza lavoro e tradita dagli affetti più prossimi. Questa persona sviluppò di lì a poco un delirio per cui era convinta che tutto quello che era successo non era vero, ma era un gioco organizzato dal marito e dalla figlia, per farla scuotere un po’. Trovava in ogni indizio della vita quotidiana un messaggio inviatole dai suoi cari per farle fare delle belle esperienze, anche costose. E lei con grande convinzione eseguiva quanto percepito dagli indizi dispiacendosi per il disturbo arrecato al marito e alla figlia, e per le spese che presuntamente i due stavano sostenendo per lei. Era chiaro come la signora si fosse costruita questa credenza delirante per contrastare la impietosa invalidazione dei suoi temi di vita che il duplice abbandono le aveva causato. Ma non era certo possibile dirle testualmente: “signora, suo marito e sua figlia l’hanno abbandonata”
Il trattamento si basò sul convincere la signora ad “alleggerire” i familiari, caricandosi lei stessa la responsabilità di fare le sue belle esperienze. E così avvenne. Lorenzini ha specificato che, una volta limitato il rischio di danno per se stessi e per gli altri, l’eliminazione del delirio in una psicosi non è il primo obiettivo, anzi talvolta è rischioso eliminare un delirio. Il primo obiettivo resta quello di una vita piena di valore e degna di essere vissuta secondo il parere soggettivo della persona che la vive.