A cura del dott. Dario Pappalardo

Il Training Autogeno Superiore (T.A.S.) rappresenta la naturale evoluzione del Training Autogeno di base o somatico (6 Esercizi standard): molte sono infatti le manifestazioni che spontaneamente, già a partire dagli esercizi somatici, annunciano fenomeni tipici del Training Autogeno Superiore (immagini, colori, oggetti, vissuti, ecc..). J.H. Schultz sottolineava che: “Per poter affrontare l’esecuzione degli esercizi del ciclo superiore è indispensabile la perfetta conoscenza degli esercizi inferiori e la capacità di eseguirli in modo completo, rapido e sicuro”.

E’ evidente quindi la necessità di un buon allenamento autogeno, con la capacità di realizzare uno stato psicofisico di “commutazione autogena” in modo tale da favorire nel soggetto uno stato di abbandono ed un ruolo passivo, definito dall’Autore “accettazione passiva”.

Le immagini spontanee prodotte in stato di autogenia permettono di recuperare materiale che proviene non solo dall’inconscio, ma anche dalla “memoria dell’organico” dove, come dice Schultz “l’individuo incontra se stesso soprattutto nel mondo delle sue reazioni primitive”.

Attraverso il concatenamento dei diversi esercizi proposti, il soggetto produce dei vissuti che, opportunamente interpretati, permettono di svelare e quindi analizzare aree profonde della personalità, creando occasioni d’integrazione, di sviluppo e di armonizzazione.

Secondo l’ideatore, questi esercizi sarebbero in grado di influire su realtà intime e delicate, poiché favoriscono l’emergere di problematiche esistenziali e aspetti psicodinamici che, se più chiaramente elaborati, possono acquistare significati importanti, non soltanto per eventuali disturbi, ma anche per lo sviluppo della personalità. È evidente in questo secondo ciclo di esercizi la matrice psicodinamica dell’autore.

  • Esercizio del colore personale: Il primo esercizio consiste nel lasciar affiorare il colore personale, nella “scoperta del colore personale”. Secondo le ricerche, in particolare di Luscher (1983), ogni persona tende in profondità, a rimanere emotivamente coinvolta con uno o più colori di quelli che fanno parte dello spettro cromatico e delle relative sfumature. Il colore così prescelto diventerà una specie di emozione-guida che orienterà la vita del soggetto. Approssimativamente, colori caldi (rosso, arancione, giallo) coinvolgono individui alla continua ricerca di stimoli vitali, che cercano l’esterno come ambito per esprimersi, mentre quelli freddi (violetto, blu, azzurro) sono scelti da persone che conservano una tendenza all’allontanamento dagli stimoli eccitanti e una ricerca del rifugio nel mondo interno. Difficilmente emerge un colore chiaro e definito. Molto spesso si tratta di un ibrido. La psicoterapia psicanalitica attribuisce inoltre all’emersione dei colori specifici significati simbolici che caratterizzano fortemente il suddetto approccio. A titolo di esempio Galli e Masi (2012) portano il caso di una signora che visualizzava spesso un giallo circondato da un nero che lo chiudeva come un ferreo confine. L’interpretazione simbolica vedeva il giallo come il suo bisogno di trasgressione che la signora aveva coltivato nel suo inconscio, come reazione ad un’educazione estremamente depressiva, interpretazione quest’ultima del colore nero. La ricerca del colore personale permette quindi di individuare dei focus emotivi su cui lavorare. La formula è “agli occhi della mente appare un colore”
  • Esercizio dello spettro: esercizio che ha lo scopo di far confrontare l’individuo con tutte le dimensioni cromatiche, anche con quelle che, fin dal primo esercizio apparivano come tendenzialmente conflittuali, richiamandone alla mente uno per volta. La formula è quindi “Agli occhi della mente appare il colore…” a cui segue, dopo qualche minuto, l’evocazione del colore successivo. Questo secondo esercizio viene utilizzato per definire il conflitto focale emergente. Ne possono derivare conclusioni che possono indirizzare la psicoterapia verso questi focus.
  • Visualizzazione degli oggetti concreti: la formula di questo terzo esercizio è la seguente “agli occhi della mente appare un oggetto”. Un obiettivo di questo esercizio è quello di riportare la mente dell’individuo dall’incertezza delle immagini fluide, rese dai due esercizi precedenti, ad un’immagine concreta che emerge spontaneamente e che diventa oggetto di interpretazione in termini simbolici o di linguaggio dell’inconscio.
  • Visualizzazione di oggetti astratti: i concetti da esplorare sono in genere concordati col paziente, ma anche scelti dal terapeuta in base al conflitto focale che comincia ad emergere o a tematiche ad esso collegate. La formula è “agli occhi della mente appare…”. I concetti astratti più usati sono l’amore, la libertà, l’amicizia, la felicità, l’equilibrio, la giustizia, la passione, la fedeltà, oppure concetti come il tradimento, l’abbandono, la violenza, la solitudine, la malattia, la paura, la morte. Introducendo questa formula il terapeuta può accedere a ricordi del paziente collegati col concetto astratto.
  • Esercizio del vissuto personale: si tratta dell’esercizio dei sentimenti provati che sono poi in qualche modo spariti e di cui si può avere nostalgia. L’indicazione di Schultz è quella di evocare il “sentimento più intensamente desiderato” o in forma più neutrale “agli occhi della mente appare un sentimento”. Si può così assistere alla riproduzione di sentimenti lontani che si presentano al paziente in tutta la loro vividezza. Può essere un’atmosfera familiare carica di gioia allegra e spensierata, una nostalgia struggente, una dolcezza che avvolge o anche un senso di smarrimento, di angoscia, di terrore. A titolo di esempio Masi e Galli (2012) porta quello di un giovane che nutriva un forte risentimento verso il padre che aveva lasciato la famiglia per un’altra donna. Nell’esercizio emerse invece un forte amore per il genitore che il ragazzo aveva sempre negato.
  • Visualizzazione di una persona determinata: poiché la maggior parte dei focus conflittuali riguardano i rapporti con figure genitoriali o comunque familiari, è probabile che l’evocazione di una persona neutra porterà, prima o poi, ad incrociare, nell’immaginario, la persona conflittuale, con rilevanti sbocchi di intervento terapeutico. La formula è “agli occhi della mente appare una persona”. L’evocazione diretta della persona con cui intercorre un conflitto è comunque una possibile via alternativa.
  • Risposte dall’inconscio: Schultz definisce la prima fase di incontro con l’inconscio, la fase delle risposte che l’inconscio dà all’individuo che pone delle domande attinenti alla dimensione spirituale (esistenziale). Si tratta di una fase durante la quale il soggetto, in stato di profonda commutazione, “ascolta” la voce dell’inconscio che risponde a domande poste dal terapeuta o dall’interessato, domande pensate o sorte spontaneamente più volte perché legate a nodi conflittuali più dolorosi e paralizzanti. Secondo l’assunto di Schultz, anche se il paziente non si ponesse, in modo chiaro, alcuna domanda, l’inconscio “risponderebbe” ugualmente poiché l’individuo cosciente non si rende conto di ciò che sta chiedendo, ma la sua psiche profonda lo sa. Le domande a cui l’inconscio risponde sono di due tipi: il primo comprende l’esplorazione delle cause del proprio dolore, legato alla categoria del perché, con domande del tipo “Qual è l’origine della mia ansia?”, “Cosa faccio di male?”, “cosa c’è di sbagliato nella mia vita?”. Il secondo si riferisce invece alla soluzione, legato alla categoria del come con domande del tipo: “cosa devo fare?”, “cosa è importante per me?”, “qual è la mia via?”.
  • Domande all’inconscio: ultimo esercizio che va direttamente al nucleo dell’esistenza umana e del senso della vita con domande effettivamente “definitive” come “qual è il significato dell’esistenza?” “esiste un Dio?” “cos’è la felicità?”. A tutti gli interrogativi suddetti l’inconscio risponderà con dei simboli, la cui emersione deve essere il primo obiettivo tecnico del terapeuta, e la cui analisi seguirà come tentativo di dare senso al materiale emerso. Va specificato che i livelli di commutazione e accettazione passiva sono al culmine essendo questo l’ultimo degli esercizi superiori, e avendo dovuto, il paziente, attraversare tutti i livelli precedenti per raggiungere rapidamente questi stati. Quindi, domande e indagini che in particolari stati d’animo non portano reazioni possono, dopo questo viaggio nell’autogenia, elicitare dei contenuti utili per la terapia.

Bibliografia

Luscher M. (1983) “colore e forma nell’indagine psicologica” (trad it.), Abano Terme, Piovan.

Masi A. & Galli L. (2012) “psicoterapia autogena a orientamento analitico”, Roma, CISU

Schultz J.H. (1980). Il training autogeno. Metodo di autodistensione da concentrazione psichica. Vol. II. Esercizi superiori: Teoria del metodo, Feltrinelli