di Dario Pappalardo
La parola “pasqua” (pascha in greco e latino) è una traslitterazione dell’aramaico “pasha” che corrisponde all’ebraico פסח (traslitterato Pesah o Pèsach) che significa “passare oltre”, “tralasciare”. Nella tradizione ebraica celebra la liberazione degli Ebrei dall’Egitto grazie a Mosè e riunisce due riti: l’immolazione dell’agnello e il pane azzimo. Deriva dal racconto della decima piaga, nella quale il Signore comandò agli ebrei di segnare con il sangue dell’agnello le porte delle case di Israele permettendogli di andare oltre (“passò oltre”), colpendo così solo le case degli egiziani ed in particolar modo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). La Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù sotto gli egiziani e l’inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa.
Con il cristianesimo la Pasqua ha acquisito un nuovo significato, indicando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal peccato con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù.
La Pasqua può essere letta in termini psicologici come allegoria dell’esperienza umana di rinascita interiore, che caratterizza il risultato di un sofferto percorso di crisi e di ricerca personale, che culmina con il raggiungimento del pieno senso di sé.
“Per nascere veramente, dunque, occorre rinascere”
[Aldo Carotenuto]
Il significato storico e religioso di rinascita, in questo senso diventa l’esperienza individuale di rinascita del singolo, che in alcune culture si esplica col rito dell’iniziazione. Non a caso il simbolo del Cristo che nasce e che poi risorge è un antico simbolo archetipico presente in tutte le religioni e miti ad indicare che il concetto di rinascita, e il precedente martirio, ovvero le prove dolorose a cui si è sottoposti per trascendere se stessi, è un concetto di rilevanza collettiva globale riconosciuta in tutte le culture e in ogni tempo.
Le ricorrenze, e in particolare quelle che si riscontrano pur con le variazioni culturali del caso in molte società, portano con sé un carico simbolico che ne determina l’esistenza e ne agevola la diffusione e la inevitabile secolarizzazione nella società delle masse, spesso in seguito ad iniziative di sincretismo, per rendere accettabile un principio esogeno ad una collettività appartenente ad una cultura diversa.
La loro dimensione simbolica per l’essere umano singolo e per il collettivo si viene quindi a perdere ed è quindi appannaggio di ciascun individuo il riscoprire il significato simbolico di tale ricorrenza, anche e soprattutto a livello di significato personale.
Per fare un esempio, a Pasqua c’è l’abitudine di regalare uova di cioccolato. In realtà quest’abitudine è nata con il tempo, ma una volta venivano regalate uova vere, con il guscio colorato, ad indicare il suggello di un periodo di rinascita fiorente.
E’ chiaro come una mutazione del genere possa far gettare nell’ignoto il significato della rinascita ed essere invece collegato a parole o concetti di abbondanza, esagerazione, opulenza, abbuffata, riposo, ferie, cena familiare (talvolta con accezione negativa), a cui spesso viene associata la Pasqua nelle conversazioni della vita quotidiana.
Come avviene per le ricorrenze come la pasqua ciò è vero anche per le ricorrenze individuali, le quali esse stesse possono configurarsi col significato di trauma o rinascita ed essere dimenticate dalla mente cosciente ma continuare ad agire i propri effetti sul piano emotivo e dei processi mentali automatici. Tale distaccamento impedisce l’integrazione della coscienza e quindi la possibilità di ricordare, associare ogni momento dell’esperienza col precedente e trarre da ciò conclusioni importanti per l’identità di sé e l’autodirezionalità.
“Nel rapporto fondamentale con se stessi gli esseri umani sono prevalentemente dei narratori […]; amano il succedersi ordinato dei fatti perché assomiglia ad una necessità, e l’impressione che la loro vita abbia un ‘corso’ li fa sentire come protetti in mezzo al caos.”
[Robert Musil]
Come asseriva Parry (1998), “tutte le storie parlano di emozioni”. Il coinvolgimento emotivo e la sua reciprocità avrebbe un ruolo fondamentale: si è rilevato come sia correlato a una maggiore capacità di narrare gli eventi nel paziente (Anstadt, Merten, Ullrich, Kraause 1996).
La narrazione della storia di vita è sicuramente uno dei metodi più utilizzati, sia come occasione di rielaborare il sé e produrre una trasformazione (Schafer, 1992), sia perché assicura al paziente la possibilità di essere ascoltato in un contesto “sicuro”, di cui può fidarsi (Mc Leod, 1997), ed è funzionale utilizzare la terza persona in quanto nella narrazione in terza persona si riuscirebbe a creare una distanza con gli eventi che favorirebbe la rielaborazione degli eventi (Lawrence, 1990).
Se narrarsi in terza persona in terapia favorisce la presa di distanza, la scrittura è di certo uno strumento utile a creare delle condizioni favorevoli affinché avvenga una rielaborazione e un cambiamento nello stato di sofferenza del paziente.
La scrittura delle proprie esperienze e pensieri in qualsiasi forma è considerata come uno strumento aggiuntivo alla terapia, sia in terapia individuale, che di coppia o familiare e viene presa in considerazione, come strumento tecnico, all’interno di svariati orientamenti psicoterapeutici, dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale, alla psicoterapia fenomenologica e psicodinamica. Tra i metodi più diffusi vi è l’uso del diario, il report del proprio stile di vita, considerato anche come uno strumento validato in ambito clinico (Watkins, 1992).
La differenza tra scrivere e parlare risulta di fondamentale importanza: la scrittura necessita di tempo, è più lenta e può essere portata avanti per periodi di tempi variabili; necessita di una struttura ed è quindi meno caotica, e la sua ineludibilità può avere un forte impatto sulla persona; la possibilità di apporre modifiche è decisiva, quasi un’azione riparativa di cambiamento mentre la rappresentazione di sé rimane stabile; la scrittura, in definitiva, ha un maggiore effetto di integrazione dell’esperienza del paziente e della sua identità. Non è un caso che, in ambito cognitivista, molti homework prevedano situazioni di esposizione, apprendimento e successiva attività di registrazione delle proprie esperienze correttive, in modo da “ricordarsi” come si è fatto a superare un certo impedimento emotivo o pratico.
Anstadt T.; Merten J.; Ullrich B.; Kraause R.: Erinnern und agieren. Remembering and acting out. Zeitschrift-fuerPsychosomatische-Medizin-und-Psychoanalyse. 1996; Vol 42(1): 34-55.
Aldo Carotenuto – “Amare Tradire: Quasi un apologia del tradimento” – Edizioni Bompiani,
Liotti, G. & Farina, B. (2011). Sviluppi Traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Raffaello Cortina Editore: Milano
McLeod, J. (1997) Reading, writing and research. In I. Horton and V. Varma (eds), The Needs of Counsellors and Psychotherapists. London: Sage
Parry T.A., Reasons of the heart: The narrative construction of emotions. Journal-of-Systemic-Therapies. 1998 Sum; Vol 17(2): 65-79.
Schafer R., Retelling a life: Narration and dialogue in psychoanalysis.New York, NY, USA: Basicbooks, Inc. (1992). xvii, 328 pp.
Carcione, A., Nicolò, G. & Semerari, A. (Eds). (2016). Curare i Casi Complessi. La Terapia Metacognitiva Interpersonale dei Disturbi di Personalità. Bari: Laterza.
Watkins C. E., Developing and writing the life-style report Individual-Psychology:-Journal-of-Adlerian-Theory,- Research-and-Practice. 1992 Dec; Vol 48(4): 462-472.