Storia di terapia: Irene, una testimonianza di incoraggiamento e di speranza per tutti coloro che quotidianamente lottano con i disturbi alimentari (Irene, nome di fantasia, ha intrapreso una psicoterapia cognitivo comportamentale con la Dott.ssa Valeria Rossi)

 

“Quando il gioco si fa duro è da giocare”

Sveglia. Apro gli occhi e il primo pensiero è: “ho fame”. È inevitabile visto che ieri sera ho evitato il pane e ho mangiato metà della portata. Avvicino le mani alle anche e mi rilasso; gli ossicini si sentono bene, come ieri.

La colazione è il momento della giornata che più adoro; gusto i miei cereali e yogurt come nessun’altra cosa. Corro in cucina e la prima cosa da fare è questa.

Ma poi quei pensieri strani si avvicinano e interrompono questo momento di puro relax. Stasera sarò a cena fuori; serata già da tempo programmata. È qualche giorno che penso a cosa potrò mangiare e a quanto condite saranno le pietanze. È un pensiero insistente, irruente… perché chissà, il mio peso potrebbe aumentare.

Di quanto? Non so.

Potrei saltare lo spuntino di oggi e mangiare meno a pranzo. Si! Potrebbe essere la soluzione!

La giornata scorre, tra studio, lavoro e pensieri ricorrenti per la serata alle porte. Gli attenti e mirati sguardi agli specchi mi rassicurano. Niente è cambiato da questa mattina, e spero che anche domani quest’immagine rimanga tale.

Mi sento in colpa; stasera dovrò pure saltare la piscina ma andrò sicuro domani, anche due orette ed oggi eviterò la barretta del pomeriggio, non ho altra scelta.

La cena arriva. Conosco alla perfezione il menu; l’ho scrutato dai siti on line appena scoperto il luogo del ritrovo.

Sono con le amiche, qualcuna mi conosce, quindi sa i miei limiti, altre meno. Sono tranquille, ridono, scherzano. Io invece sono in una campana di vetro, penso solo al mio piatto, a come sarà stato preparato, a quanto olio sarà stato aggiunto. Mangio quasi tutto, con difficoltà. <<Il dolce anche per te? No, sia mai>>. Oramai anche loro sanno che potrei ingrassare per una fetta di torta alle mele! Sdrammatizzano, e meno male.

Io, nonostante all’apparenza cerchi di mostrare notevole tranquillità, ho un fuoco ardente che brucia dentro di me; provo rabbia, tristezza, disprezzo, per aver mangiato quel piatto che forse si, avrei dovuto evitare. Evitare la cena? La prossima volta di sicuro ci penserò. Se fossi stata con Mamma o con lui, avrei mangiato il “mio”; lo sanno e non insistono troppo.

Domani sarà un altro giorno, andrò in piscina e mangerò il “giusto”; il “mio” giusto.

 

Quando la ricerca della perfezione tenta di distruggere quello che di bello e vario ci regala la vita allora è il momento di riflettere. Ma ne vale la pena?

Vale la pena perdere quel tempo prezioso che abbiamo per pensare a quanto/cosa potrò mangiare per stare tranquilla?

Vale la pena affaticarsi per smaltire quello che di “troppo” (troppo per chi?) abbiamo mangiato?

Vale la pena rinunciare a tutto quello che vuol dire cibo, condivisione, sorrisi, chiacchiere con le persone più care?

Vale la pena vivere in uno stato continuo di ansia, di rimproveri, di disprezzo per quel corpo non ancora perfetto?

E mille altre ancora.

Non c’è risposta esatta a questa serie di domande, la risposta sta in ognuno di noi, nella piramide delle nostre priorità. Piramide dinamica, mutevole, fatta di tanti piccoli mattoncini, che nel corso della vita si può e si deve modificare. Ma quando un solo mattone prende il sopravvento su tutti gli altri e schiaccia e annienta il resto, vale la pena pensare se davvero tutto il resto ha perso importanza, se non è più tra le nostre priorità.

Se colui che si ama comincia a raggiungere livelli limite di sopportazione, se qualunque cosa è argomento di discussione, se la serenità e la tranquillità non sono più di casa, se anche la famiglia, da sempre pilastro costante, sostegno e forza nelle più varie difficoltà, comincia a traballare… allora è il momento di lottare. Lottare per evitare che tutto ciò che con forza è stato costruito non si sgretoli e voli via. Perché si, forse potrei rimanere sola, io e il mio corpo, io e le mie perfezioni, io e le mie rigide regole. Ma ne vale la pena?

Da soli non si può combattere questa battaglia e comprendere questo è già un grande passo. Ci si avvicina alla psicoterapia non sempre con la giusta convinzione che quella SIA LA COSA GIUSTA DA FARE.  Lo dicono gli altri, ti fanno credere che qualcosa non va e che qualcuno ti aiuterà. Si pensa che il tutto si risolva rapidamente, con pochi incontri, perché tempo da perdere non ce n’è.

È proprio quello che ho pensato al primo incontro: la mia macchina si era danneggiata e il pezzo andava subito sostituito. Rapidamente.

A distanza di quasi due anni, ricordo con un sorriso quel momento. Penso a quella piccola macchina da guerra che non desiderava atro che un check-up rapido dal meccanico, per ripartire carica come prima. E invece no, il mondo degli umani è ben altro. E grazie alla psicoterapia ho capito che in quel momento le mie priorità si erano ridotte ad una sola grande convinzione che stava annientando tutto il resto. Rigidità con me stessa, con il cibo e anche con tutto ciò che mi circondava: solo così potevo mantenere il mio corpo all’altezza (all’altezza di chi? Cosa?), e si, magari anche migliorarlo. Non potevo concedermi sgarri, non potevo concedermi quello che gli altri si gustavano con spensieratezza (un dolcino a fine cena?), non potevo. Avrei lottato con sensi di colpa e ansie infinite perché “no, non posso farlo”.

Passo passo, incontro dopo incontro, ho lavorato su me stessa e su questi pensieri che costantemente mi assalivano. Il percorso è stato lungo e faticoso. Affrontare IL disturbo giorno per giorno, esposizione dopo esposizione, mette a dura prova. Ma è proprio in quei momenti di sconforto e di difficoltà che ho compreso che lottare contro quel disturbo era la cosa migliore. Per me stessa, in primis. “perché io valgo”

E così è stato.

Ho ritrovato la serenità nel mangiare e gustare anche pietanze diverse dalla mia solita routine. Ho lavorato sulle esposizioni in pubblico, sulle cene condivise e sono riuscita ad uscire da quella campana di vetro isolata dal mondo. Ho ristabilito la mia piramide delle priorità, dando il giusto spazio a tutte le componenti. Ho riacquistato la serenità perduta, l’amore per le piccole cose, il sorriso, la voglia di vivere questa vita fatta anche di imprevisti. Ho acquisito gli strumenti necessari per combattere quei pensieri qualora si ripresentassero. Perché si, si ripresentano. Ma la psicoterapia cognitivo comportamentale aiuta a riconoscerli e ad etichettarli come pensieri, che come onde vanno e vengono. Arrivano, ci sfiorano, e continuano per il loro corso… senza interferire troppo con il nostro mondo, senza generare ansia e sensi di colpa.

Ho imparato ad accettarmi anche con 1-2 kg in più; prima non avrei resistito nemmeno all’idea di aumentare di 1 hg. Ho rotto quelle catene che mi tenevano legate al disturbo, a quei pensieri di colpa e disprezzo.

Mi sono sentita nuovamente libera: libera di accettare me stessa per quella che sono e non per quella che “dovrei essere” per essere accettata dagli altri; libera di guardami allo specchio senza puntare gli occhi sui punti X e dimenticare il resto. Mi guardo, sorrido e dico: “si, così può andare”

“Impara ad accettare. Non vuol dire rassegnarsi ma semplicemente non perdere energia dietro a situazioni che non puoi cambiare, remando contro alla serenità della tua giornata”

  [Dalai Lama]