a cura della dott.ssa Sara Di biase
Ci sono persone che vivono nella costante convinzione di perdere i loro cari: sono certe che tutti coloro a cui tengono di più, presto o tardi, improvvisamente le abbandoneranno o perché si ammaleranno e moriranno o perché le lasceranno per qualcun altro migliore di loro. Impaurite, a volte terrorizzate “dall’idea di essere mollate”, vivono in uno stato continuo di allerta che si esprime attraverso un atteggiamento vigile, che le guida alla ricerca di qualsiasi segnale che confermi i loro timori. Ad esempio, nelle relazioni sentimentali sono molto gelose, possessive, controllanti e mostrano un attaccamento eccessivo verso i loro partners. Così attente a sorvegliare la vicinanza, appena hanno “l’impressione che il/la compagno/a è più lontano/a”, provano ansia e tendono a supporre che questo sia l’inizio di un abbandono o che sia il segnale di un avvenuto tradimento. Contemporaneamente, o poco dopo, provano rabbia, una rabbia, che, a volte, può essere così intensa da suscitare dei veri e propri scoppi di ira contro il partner; successivamente, invece, si sentono sprofondare in una violenta sensazione di inadeguatezza che caratterizza un’ intensa vergogna, che lascia poi lo spazio ad un profondo senso di colpa e ad una tristezza che porta con sé solo un enorme senso di vuoto. A volte la rottura della relazione avviene perché questo atteggiamento diventa “insostenibile” per il/la compagno/a, che decide di allontanarsi per “l’impressione di sbagliare qualunque cosa faccia”; tutto questo non fa che rafforzare la credenza che i legami affettivi siano imprevedibili ed instabili.
Nel manuale Schema Therapy, Jeffrey Young ipotizza che l’origine di ciò sarebbe da ricercare all’interno dei legami di attaccamento di cui un soggetto fa esperienza nei primissimi anni di vita. Una persona che, nella sua infanzia, è stata cresciuta da genitori assenti o poco presenti, distaccati emotivamente, che hanno mostrato scarsa empatia verso il soddisfacimento dei bisogni emotivi primari della cura, della protezione e della vicinanza, può NON essersi sentita accolta, amata, accettata incondizionatamente, bensì rifiutata.
Il dolore legato alla perdita pare essere insostenibile e tutto si concentra nell’evitare che questo accada di nuovo; di fatto, l’esperienza di essere abbandonata/o e respinta/o rimane in memoria, porta con sé paura, rabbia e tristezza, un tris di emozioni che danno così tanta sofferenza che l’individuo, piano piano, prova a reagire ricercando l’atteggiamento migliore che può garantirgli la vicinanza dell’altro. Il comportamento emesso va inconsapevolmente di pari passo con l’esperienza che queste persone sentono di aver vissuto. C’è chi ha imparato: “Se non mostro i miei difetti e dunque nascondo le mie imperfezioni, l’altro mi amerà e non mi lascerà”, oppure “Se faccio esattamente ciò che l’altro vuole, non verrò mollata”, altri, invece, giocano d’anticipo, ovvero, lasciano “prima di essere abbandonate/i”.
Seppur doloroso il vissuto di rifiuto, di sostituzione, di abbandono, di solitudine, allo stesso tempo, diventa così familiare che il soggetto tende, in maniera del tutto automatica, a ricercarlo e a reiterarlo nelle relazioni sentimentali adulte perché è l’unica via appresa e, per quanto possa sembrare un paradosso, ciò gli trasmette sicurezza. Questa resistenza al cambiamento sembra essere associata al bisogno di coerenza insito in tutti gli esseri umani; infatti la persona mostra interesse ed è attratta, anche in termini di attivazione sessuale, solo da coloro che o non intendono impegnarsi o che hanno già un legame sentimentale (ad esempio, sono sposati/e) e, dunque questo le porta a mantenere viva la loro credenza che le relazioni sono destinate a finire e che: “Stiamo insieme, ma so già che mi lascerai!”.