a cura della Dott.ssa Chiara Lignola

“Quando compro il mondo diventa migliore,

il mondo è migliore e subito dopo non lo è più

e io ho bisogno di rifarlo.

(Da I love shopping, titolo originale Confessions of a Shopaholic, film del 2009 diretto da P. J. Hogan, ispirato ai romanzi I Love Shopping e I love shopping a New York di Sophie Kinsella)

 

Lo shopping compulsivo è spesso un argomento trattato in chiave ironica e preso spesso sotto gamba, molte pubblicità strizzano manipolativamente l’occhio alla dipendenza dagli acquisti per incentivare gli acquisti stessi, contribuendo a stereotipare e a banalizzare il problema; cosa che invece non avviene ultimamente per altri temi sui quali sembra esserci una maggiore sensibilizzazione, come per la ludopatia (“giocate con prudenza e moderazione” ) o quando si invita a non guidare se si è assunto alcool in pubblicità di noti marchi di birre. La dipendenza da shopping viene vista come terapia per ogni malessere emotivo: “lo shopping è più economico dello psicologo”, “lo shopping è meglio della psicoterapia”, oppure come attività od hobby: “cosa ti piace fare nel tempo libero? “Mi piace fare shopping” o ironicamente “ho trovato il punto G delle donne è infondo alla parola shopping” e ancora “non sono dipendente dallo shopping sto aiutando l’economia” e non mancano le gallerie di foto che mostrano uomini addormentati  o annoiati vicino ai camerini o fuori dai negozi. Sicuramente l’ironia, come ci insegna l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), aiuta a defonderci dai nostri problemi quando però li abbiamo presi a carico, ed è comprensibile e accettabile quando non si tratta di un comportamento patologico, ma spesso si ha l’impressione, come sottolinea  Baccetti (2015) nel suo capitolo su lo shopping compulsivo nel manuale “Disturbo da Accumulo” (a cura di Francesco Mancini e Claudia Perdighe, edito da Raffaello Cortina), che le determinanti psichiche sottostanti questo disturbo, vengano sfruttate e amplificate dai sistemi di marketing per incentivare in ognuno di noi acquisti d’impulso, risultanti quindi non da valutazioni di tipo funzionale ma fortemente emotive.

Non a caso, questo articolo esce volutamente in questi giorni, a fine novembre, quando molti di voi avranno ricevuto mail o visualizzato sui vari social e siti, annunci pubblicitari che promettono sconti imperdibili per il black friday, un usanza americana sbarcata anche da noi che pochi anni fa guardavamo sbigottiti le immagini nei centri commerciali della folla impazzita che ne aspettava l’apertura e che si litigava gli ultimi oggetti sugli scaffali (scene presenti per latro in molti film dove di solito l’oggetto tanto ambito  e conteso era spesso un nuovo gioco del momento). Risparmiare ha un senso ed è sicuramente una strategia funzionale, una modalità di acquisto consapevole, ma quando il carrello si riempie di oggetti dei quai non abbiamo realmente bisogno ma li abbiamo inseriti perché “tanto sono in sconto e ci potrebbero servire non si sa mai” una spia si deve accendere, e se questo ci capita spesso e regola o inficia il nostro umore, il nostro conto in banca e le nostre relazioni, a maggior ragione!  Lo shopping online fa la sua parte, creare wish list (liste dei desideri) riempire carrelli nei negozi online o in apposite applicazioni, tutto pensando di giocare a un gioco virtuale dove non si spendono soldi reali, può alimentare un certo comportamento di acquisto disfunzionale ed essere una trappola per i soggetti più inclini sia all’acquisto compulsivo sia all’accumulo.

Ma cerchiamo di vedere meglio insieme se è possibile tracciare un confine tra acquisto non patologico e non, tra un’attenzione al risparmio e all’ultima offerta e il bisogno compulsivo di acquistare.

COME SI CHIAMA?

In letteratura e nel linguaggio corrente troviamo diversi nomi per descrivere lo stesso disturbo. In principio Kraepelin (1915) lo chiamò oniomania  (dal greco onios = “in vendita,” mania = follia) ma spesso si parla di sindrome da acquisto compulsivo, shopping compulsivo, acquisto compulsivo, shopping-dipendenza fino al termine più in voga nei social “shopaholism” (shop -aholic)

E’ UN DISTURBO RICONOSCIUTO?

Lo shopping compulsivo non ha ancora una sua dignità diagnostica: non è per il momento stato riconosciuto come disturbo autonomo (non rientra tra i disturbi indicati nei manuali diagnostici DSM V, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders e  ICD-10, International Classi cation of Diseases) e forse ciò contribuisce a un atteggiamento culturale che tende a ironizzare o strumentalizzare il disturbo stesso. Per alcuni autori è da  inquadrare tra le nuove dipendenze comportamentali (Di Martino, D’amore, 2008), per altri risulta essere parte dei disturbi appartenenti allo spettro ossessivo-compulsivo, insieme alla dipendenza da gioco d’azzardo, la cleptomania, la piromania ed i comportamenti sessuali compulsivi (Tavares et all., 2008).

Qual è la differenza tra shopping ordinario e shopping patologico?

  1. a) Il comportamento deve essere ripetitivo;
  2. b) Il comportamento deve risultare problematico per l’individuo

In particolare, secondo McElroy et al. (1991,1994) la preoccupazione, l’impulso o il comportamento del comprare si presenta indicato da uno dei seguenti elementi:

  • frequente preoccupazione o impulso a comprare, esperiti come irresistibili, intrusivi o insensati;
  • comprare frequentemente al di sopra delle proprie possibilità, spesso oggetti inutili (o di cui non si ha bisogno), per un periodo di tempo più lungo di quello stabilito;
  • la preoccupazione, l’impulso o l’atto del comprare causano stress marcato, fanno consumare tempo, interferiscono significativamente con il funzionamento sociale o lavorativo o determinano problemi finanziari (indebitamento o bancarotta);
  • il comprare in maniera eccessiva non si presenta esclusivamente durante i periodi di mania o ipomania.
  • lo shopping compulsivo è un disturbo che porta alla necessità di fare acquisti, una necessità alla quale il soggetto è incapace di sottrarsi. Questo comportamento ripetitivo e incontrollabile assorbe completamente l’individuo, e provoca nella sua vita gravi conseguenze a livello finanziario, relazionale e familiare.

La maggior parte degli oggetti acquistati durante gli episodi compulsivi è inutile e viene usata solo in parte. A volte si tratta di articoli già posseduti o non aderenti ai gusti, ai bisogni e allo stile di vita del soggetto. Alcuni articoli vengono nascosti nell’armadio, mai utilizzati, altri regalati,gettati, accumulati.

Quali sono i costi?

Sul piano emotivo ansia, sensazioni di colpa, rimorso e stress generato dall’indebitamento (O’Guinn & Faber, 1989; Tolin et al., 2007) sul piano relazionale e sociale conflitti e liti familiari e conseguenze anche legali, quando per ottenere a tutti i costi gli oggetti si creano debiti o si commettono furti (McElroy et al.,1995; Tolin et al., 2007).  Parallelamente, dopo l’acquisto, scaturiscono emozioni negative legate allo shopping, in particolare sentimenti di rimorso (O’Guinn & Faber, 1989) e anche la consapevolezza dello scarso controllo che si ha rispetto al comprare, può innescare vissuti di ansia e frustrazione, che a loro volta alimentano il circolo vizioso, proprio perché non si riesce ad interrompere o moderare facilmente tale schema di comportamento (Marlatt et all, 1988).

Che cosa lo origina e cosa lo mantiene?

Similmente a quanto accade con le droghe, l’aspetto gratificante fa si che il comportamento venga rinforzato dalle sue stesse conseguenze emotive e psicologiche: il soggetto sperimenta emozioni positive e/o una riduzione del disagio e questo innesca un processo ciclico e ricorsivo disfunzionale (O’Guinn & Faber, 1989).

Secondo alcuni autori i soggetti che acquistano compulsivamente spesso non sono motivati all’acquisto dal desiderio in sé di entrare in possesso di un dato oggetto (molto spesso, infatti, le confezioni non vengono nemmeno aperte né gli acquisti sistemati in casa), quanto dal desiderio di sperimentare le emozioni positive legate allo shopping in sé (si pensi all’ambiente dei negozi, agli apprezzamenti dal parte del personale dei negozi, nonché ai commenti ammirati di altri sugli oggetti acquistati) che vanno a modificare la percezione della propria autostima (O’Guinn & Faber, 1989).

Secondo altri autori, gli oggetti aiutano chi li possiede a fare o realizzare qualcosa, fornendo quindi un senso di potere personale e di autefficacia; hanno la capacità di trasmettere un senso di sicurezza, sono vissuti come parte del senso di sé: possono incrementare lo status oppure il potere di una persona, così come possono mantenere intatta l’identità preservando la storia personale (Frost & Steketee, 2012). I sentimenti di grandiosità insieme alle fantasie che tipicamente accompagnano il comportamento di acquisto (“con questo vestito sarò bellissima”; “con questa sveglia non mi capiterà mai più di arrivare in ritardo”), riducono la capacità di valutare gli effetti negativi ed i danni personali e sociali del comportamento compulsivo (Salzan, 1981, Black, 2007).

Si può curare?

Burgard e Mitchell (2000), propongono un trattamento suddiviso in 12 step che comprendono l’introduzione di un sistema di gestione del denaro maggiormente funzionale che miri alla riduzione del danno economico e finanziario, l’esplorazione dei pensieri attivati durante gli acquisti e delle emozioni esperite la ristrutturazione cognitiva delle principali credenze disfunzionali rispetto allo shopping ed agli oggetti, la formulazione di strategie di coping da mettere in atto, l’esposizione con prevenzione della risposta nella quale la persona si troverà a dover affrontare negozi e vetrine esponendosi agli stessi stimoli che precedentemente lo inducevano a comprare   (Mitchell et al., 2006).

“Un uomo non ti tratterà mai meglio di un grande magazzino” Rebecca Bloomwood – I Love Shopping (film)

Può essere  di aiuto includere un addestramento all’assertività, per coloro che presentano difficoltà a contrastare le in influenze sociali (come ad esempio le lusinghe dei commessi), volto a sviluppare un’immagine positiva e al tempo stesso ampliare il repertorio comportamentale della persona (Di Martino & D’amore, 2008).

Generalmente, almeno in una prima fase, la persona con shopping compulsivo non considera problematico il proprio comportamento; al contrario, molto spesso viene percepito come una risposta positiva ed efficace ad una condizione iniziale di ansia e di stress emotivo (O’Guinn & Faber, 1989) e vissuto come gratificante (Marlatt et al.,1988). ma è bene tenere presente che il decorso è di tipo cronico-recidivante,  con periodi asintomatici della durata di mesi o anni. La frequenza media è di 17 episodi mensili ognuno di una durata di circa 7 ore, (media settimanale di ore di circa 7,8).

Di primaria importanza identificare e eliminare i fattori di mantenimento, sia interni che esterni, ricercando alternative maggiormente adattive (Elliott, 1994) facendo in modo che il paziente non debba più passare attraverso lo shopping per esperire vissuti di potere e competenza.

Compulsione o compensazione?

Si parla di compulsione quando non si può fare a meno di comprare per  ridurre l’ansia o il disagio, si parla di compensazione quando spendere serve ad alleviare le frustrazioni e scacciare il malumore: comprando ci coccoliamo ci regaliamo un momento di gratificazione che ci rialza il morale (Baccetti,2015)

Cosa possiamo fare?

Chiedersi se abbiamo veramente bisogno dell’oggetto in questione, se ne possediamo uno simile o se potremmo piuttosto spendere i nostri soldi per qualcosa di più utile o più economico. Darsi del tempo ci farà sentire meglio per il fatto di aver resistito e non aver comprato l’oggetto in questione. Ci darà inoltre l’opportunità di trovare lo stesso oggetto a un prezzo più basso. Il rischio sta nel ricadere premiandosi in un secondo momento proprio perché siamo stati bravi nel resistere e rispondendo al motto “me lo merito”. Molto importante è monitorare le spese, le entrate e le uscite e farsi aiutare!

FARSI AIUTARE!

Se vi riconoscente in questi vissuti e difficoltà sopra descritti, parlatene e chiedete aiuto, è comprensibile che vissuti di fallimento e vergogna siano dietro l’angolo e rendano difficile condividere e chiedere aiuto ma è il primo passo per risolvere il vostro problema.

Rivolgersi a un professionista che sappia darvi gli strumenti per affrontare il vostro rapporto problematico con gli acquisti vi gratificherà per aver veramente ben speso i vostri soldi questa volta come un oggetto non potrà mai fare: li avrete investiti nel vostro benessere, su voi stessi e a lungo termine!

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • BACCETTI F. (2015)Lo shopping compulsivo. Il disturbo da Accumulo A cura di Perdighe C. e Mancini F. Raffaello Cortina Editore BLACK D.W. (2007), “A review of compulsive buying disorder”. In World Psychiatry, 6, pp. 14-18.
  • DI MARTINO G., D’AMORE A. (2008), “Shopping compulsivo: una dipendenza comportamentale emergente nella società del consumo”. In Mission, 25, pp 13-20.
  • ELLIOTT R. (1994), “Addictive consumption: function and fragmentation in postmodernity”. In Journal of Consumer Policy, 17, 159-179.
  • FROST R.O., STEKETEE G. (2012), Tengo tutto: perché non si riesce a buttare via niente. Erickson, pp. 53-69.
  • MARLATT A., BAER J., DONOVAN D., KIVLAHAN D. (1988), “Additive behaviors: etiology and treatment”. In Annal Review of Psychology, 39, pp. 223-252.
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  • MCELROY S.L., STRAKOWSKI S.M., KECK P.E., TUGRUL K.L., WEST S.A., LONCZAK H.S. (1995), “Differences and similarities in mixed and pure mania”. In Comprehensive Psychiatry, 36, 3, pp. 187–194.
  • MITCHELL J.E., BURGARD M., FABER R., CROSBY R.D.,ZWAAN M. (2006), “Cognitive behavioral therapy for compulsive buying disorder”. In Behaviour Research and Therapy, 44, 12, pp. 1859–1865.
  • O’GUINN T.C., FABER R.J. (1989), “Compulsive Buying: A Phenomenological Exploration”. In The Journal of Consumer Research, 16, pp. 147-157.
  • TAVARES H., SABBATINI S LOBO D., FUENTES D., BLACK D.W. (2008), “Compulsive buying disorder: a review and a Case Vignette”. In Revista Brasileira de Psiquiatria, 30.
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