A cura del Dott. Jonathan Lisci e della Dott.ssa Silvia Timitilli
Ritrovarsi a Siena da “turisti” il giorno del Palio può essere un’esperienza unica, ma al contempo disarmante. Il “turista” si trova calato all’interno di una realtà travolgente, dove l’emozione e la tensione sono palpabili negli occhi di quelle persone che “camminano e cantano dietro a un cavallo”.
Provare a capire Siena quel giorno da “turista” risulta un’impresa impossibile e a renderla tale contribuisce anche l’atteggiamento dei cittadini stessi, che fino al giorno prima potevano averci trattato con gentilezza, ma che quel giorno diventano improvvisamente e inspiegabilmente “scontanti”, “sgarbati” e “non tolleranti”.
Per comprendere Siena il giorno del Palio occorre prendere in prestito gli occhi del “senese” e leggere quella realtà, altrimenti così particolare, con lo sguardo di chi vive quell’evento non solo quel giorno, ma tutto l’anno.
Assumendo la prospettiva del “senese” quelli che “camminano e cantano dietro a un cavallo” diventano “contradaioli” e cercare di comprendere cosa questo significhi non è semplice.
Quello che ad un occhio turistico può sembrare un incomprensibile fanatismo, è in realtà un fenomeno precisamente spiegabile facendo riferimento alla “psicologia sociale dei gruppi”.
Approfondendo infatti i principali studi che trattano questo tema, si vede come le varie contrade abbiano tutte le caratteristiche che sono tipiche del concetto di “gruppo”. Il gruppo è definito come un insieme di due o più persone che sono in relazione tra loro, condividono norme e valori comuni e sono interdipendentemente orientati verso uno scopo condiviso.
Se pensiamo alle contrade, dunque, possiamo vedere come questa definizione calzi a pennello: esse sono costituite da individui che collaborano attivamente tra di loro per raggiungere un medesimo obiettivo, la vittoria del Palio.
La Contrada non è quindi soltanto uno stemma su un “fazzoletto” o un quartiere di Siena: la contrada è una comunità, con un suo codice di comportamento, con i suoi inni, con le sue tradizioni, con la sua gerarchia interna e con una serie di passaggi iniziatici da attraversare per esserne effettivamente parte integrante. All’interno delle contrade, infatti, oltre alla già citata interdipendenza, che fa sì che ogni membro dipenda dagli altri per raggiungere lo scopo e viceversa, vi è una precisa strutturazione di ruoli e compiti ad essi associati, delle gerarchie ben definite, una serie di riti iniziatici e di passaggio ed un rigoroso regolamento interno. Ciascuna delle diciassette contrade rappresenta a tutti gli effetti un piccolo stato, delimitato all’interno di un preciso territorio, i cui confini furono stabiliti nel lontano 1729 dal Bando di Violante di Baviera, Governatrice della Città, e retto da un Seggio con a capo il Priore e guidato durante i giorni della “giostra” da un Capitano, coadiuvato da due o tre contradaioli detti “mangini” o “tenenti”. All’interno del suo territorio, ogni Contrada possiede inoltre una Chiesa, detta “Oratorio”, con annessa la sede ufficiale dotata di un Museo, in cui è custodito tutto il suo patrimonio: cimeli, drappelloni delle vittorie, costumi della Comparsa, bandiere, archivio e tutto quanto altro concerne la vita della Contrada stessa. Il senso d’identità è dunque molto forte e gelosamente conservato da ciascun “contradaiolo” ma anche da ciascun “senese”. Esistono, infatti, organi preposti a mantenere integra l’immagine, la dignità e la storia del Palio, come il “Consorzio per la Tutela del Palio di Siena”.
Questo forte senso identitario si evince anche dal linguaggio stesso utilizzato dai contradaioli. Già perché per un contradaiolo non si dice “tengo per…” o “tifo per…”, come nel calcio o in altri sport, ma “Sono del…”, sottolineando come non si parli di semplici fan o supporters, ma come il senso di appartenenza scavi così a fondo da diventare parte dell’identità dell’individuo.
Già Maslow, a metà degli anni 50 aveva fatto riferimento al “bisogno di appartenenza”, identificandolo come la necessità di ognuno di noi di essere elemento di una comunità. Più di recente, in un articolo pubblicato sul British Journal Of Psichology, Mina Bakouri, ricercatrice dell’università di Losanna, ha evidenziato l’effetto benefico derivante dall’appartenere ad un gruppo. I risultati della ricerca infatti mostrano come il legame col gruppo ha un effetto “tampone” in grado di attutire l’impatto degli eventi grazie ad un incremento dell’efficacia delle strategie di coping.
Queste premesse confermano, qualora ve ne fosse bisogno, l’importanza che può avere per l’individuo appartenere ad un gruppo.
È così quindi che costantemente i gruppi si formano, si sciolgono, crescono e si modificano sotto la spinta propulsiva dei propri membri; non solo, i gruppi entrano in relazione tra loro, stabilendo legami sia solidali che ostili. Si parla a tal proposito di “ingroup”, ossia il proprio gruppo, e di “outgroup”, in riferimento agli altri gruppi. Questa stessa distinzione può essere facilmente applicata alle contrade del Palio in cui il contradaiolo ha una differente percezione dell’ingroup, ossia della contrada di appartenenza, rispetto all’outgroup, costituito da tutte le altre contrade. A partire da questo concetto, si evidenzia come, soprattutto nei momenti in cui il gruppo è chiamato ad affrontare una sfida, aumenti notevolmente la coesione all’interno del proprio gruppo e si accentuino gli atteggiamenti legati alla percezione dei membri dei vari outgroup. Tra questi, uno dei più studiati è legato al fenomeno dell’“omogeneità-eterogeneità” dell’outgroup e dell’ingroup. Secondo questo principio, i membri di un gruppo tendono a percepire come più omogeneo l’outgroup e più eterogeneo l’ingroup, un po’ come a dire che “Gli altri sono tutti uguali”, pervenendo rapidamente a vere e proprie forme di pregiudizio. In particolare, uno studio italiano (Kosic A., Pierro A., Mannetti L., 2002), che ha preso in esame il comportamento di 135 tifosi di Roma e Lazio, ha evidenziato come la percezione di omogeneità riguardi soprattutto le caratteristiche negative dell’outgroup e non quelle positive. Tali evidenze scientifiche ci aiutano a comprendere quanto evidenziato sopra e sembrerebbero fornire una plausibile spiegazione del perché, in particolar modo in prossimità del Palio, quando stress e tensione aumentano, crescono l’ostilità ed il pregiudizio verso l’outgroup, partendo in primis dalle contrade rivali ed arrivando a comprendere anche il macro-gruppo dei “turisti” che, risentendo di questo bias cognitivo, vengono etichettati come “disturbatori”.
Questo processo spiega l’esistenza di quelle regole non scritte che il “turista” è invitato caldamente e, a volte, malamente a rispettare come, ad esempio, non tenere sulle spalle i bambini mentre si sta vedendo il Palio nella Piazza del Campo, perché questo gesto impedisce la visuale della Piazza a quei “contradaioli” che hanno speso tempo e fatica per giungere a quel giorno, sperando nella vittoria, l’unico piazzamento utile. Allo stesso modo, nel momento in cui viene comunicato “l’ordine di ingresso ai canapi” (ovvero l’ordine con cui si disporranno in Piazza le contrade al momento della partenza), nella Piazza del Campo scende un religioso silenzio, che dovrà essere osservato da ogni persona presente in Piazza per tutto il tempo della “mossa”, ovvero della partenza, imprescindibilmente da quanto lunga possa essere questa attesa.
Con questo non vogliamo assolutamente sostenere che il popolo senese sia un popolo ostile ed inospitale, poiché siamo convinti che questo sarebbe quanto di più sbagliato si possa dire, bensì spiegare sotto un’ottica più scientifica un fenomeno in cui ci si può imbattere e di cui si può rimanere sorpresi. Il Palio è il Palio, con i suoi riti, le sue tradizioni, i suoi simboli e la sua sacralità. È un evento che si consuma nel suo momento apicale in due giorni stabiliti dell’anno, ma questo è solo quello che noi esterni vediamo, lo spettacolo finale. Dietro però c’è una preparazione che dura tutto l’anno, fatta di sacrifici ed investimenti, stress e tensione, condivisione e collaborazione. Tutto questo rappresenta un percorso che contribuisce, anno dopo anno, a cementare la coesione all’interno delle varie contrade, divenendo un vestito che ogni contradaiolo porta addosso con orgoglio, come elemento fondante della propria identità.
Bibliografia e Sitografia:
- http://www.ctps.it/
- https://www.ilpalio.org/
- Ankica Kosic, Antonio Pierro, Lucia Mannetti; Curva nord e curva sud: percezione di omogeneità/eterogeneità dell’ingroup e dell’outgroup nei tifosi della Lazio e della Roma; Rassegna di Psicologia, Franco Angeli, Roma, 2002.