a cura della Dott.ssa Silvia Timitilli
La Giornata Nazionale della Psicologia è un evento patrocinato dal Ministero della Salute, che giunge nel 2018 alla sua terza edizione.
L’evento nasce con l’obiettivo di informare sulle più rilevanti tematiche di interesse psicologico e far conoscere maggiormente alla comunità le potenzialità della Psicologia come scienza e come professione.
Il tema scelto per l’anno 2018 è “Ascoltarsi e ascoltare la persona al centro della propria vita”, evidenziando come la Psicologia sia una professione che utilizza l’ascolto come fondamentale strumento di aiuto e di sviluppo umano e sociale. Ma quale ascolto viene offerto da un professionista come uno Psicologo o uno Psicoterapeuta?
Innanzitutto è importante sottolineare come non esista un unico tipo di ascolto, distinguendo sommariamente tra un ascolto “attivo” e un ascolto “distratto”. L’ascolto distratto consiste nel prestare l’orecchio, essere fisicamente presenti, ma con la mente altrove, non ponendo dunque la dovuta attenzione a ciò che il nostro interlocutore ci vuole comunicare, perché presi da altro. L’ascolto attivo, al contrario, consiste nel porre un’attenzione particolare alla comprensione dell’altro, cercando di porsi nei panni della persona che abbiamo davanti, prestando attenzione non solo al contenuto delle sue parole, ma anche al suo modo di esprimersi, al tono della sua voce e all’espressione del suo volto. L’attenzione rivolta a questi aspetti della comunicazione non verbale consente di cogliere l’emozione che si cela dietro alle parole e dunque individuare i vissuti più profondi della persona, che spesso trovano difficile spazio di espressione all’interno di una comunicazione esclusivamente verbale.
L’ascolto attivo può essere offerto da figure diverse nella nostra vita e senza neppure dover pagare un onorario a chi ci presta il suo tempo, basti pensare a un amico o a un parente a noi molto vicino. Come mai allora rivolgersi a un professionista? Cosa ci può offrire di diverso da qualcuno che ci vuole bene e che si prende cura di noi?
Spesso, quando si giunge a varcare la soglia di uno studio psicologico, abbiamo alle spalle un periodo difficile, in cui non capiamo cosa possa esserci successo, sentendoci persi, smarriti, incompresi e a volte “matti”.
L’ascolto che un professionista può offrirci è un ascolto empatico, non giudicante, volto a esplorare i nostri vissuti al fine esclusivo di favorire il nostro benessere. Fin qui, però, potrebbe ancora non apparire chiara l’unicità del contributo che un professionista può offrire alla persona che soffre.
La persona che si rivolge al professionista spesso giunge con il racconto di una sofferenza inspiegabile persino ai propri occhi. Grazie alle domande e agli interventi del professionista, quel racconto frammentato inizia a prendere forma.
Nell’approccio cognitivo-comportamentale, in particolare, una parte importante dell’intervento consiste nella formulazione condivisa fra terapeuta e paziente di quello che è il problema portato dalla persona. La descrizione del problema viene effettuata mettendo in evidenza le emozioni che lo contraddistinguono, dando loro un nome e sottolineando la relazione esistente tra eventi, reazioni emotive e valutazioni dell’individuo. Tramite questa ricostruzione condivisa, la persona comprende che il suo problema ha un “senso”, che i suoi stati interni e i suoi comportamenti non sono indici di “follia”, ma trovano ragione in timori ben precisi che influenzano il suo presente e che hanno radici profonde nella propria storia di vita.
Grazie a questa ricostruzione, la persona percepisce di star interagendo con qualcuno che non solo non lo giudica, ma che risulta anche in grado di comprendere il funzionamento del suo problema, fornendogli dignità di esistere e cercando di sviluppare delle strategie di gestione per aiutarlo e promuovere il suo benessere.
Quel racconto caotico inizia così ad assumere una forma, ad acquisire un senso, consentendo anche di delineare una possibilità di miglioramento all’interno di una relazione di aiuto.