A cura della dott.ssa Silvia Timitilli
Quando ci troviamo a dover svolgere un compito gravoso e impegnativo, può accadere che, a volte, si parino davanti a noi tante piccole incombenze che ci distraggono. Ad esempio notiamo quello schedario in ufficio che certo andrebbe proprio riordinato, oppure le cartelle sul desktop del pc che sono tutte da sistemare o, ancora, ci torna in mente quella telefonata che andrebbe proprio fatta! Torniamo a guardare l’orologio e ci accorgiamo che quella mattinata che doveva essere così produttiva è invece trascorsa senza portare frutto e quel compito gravoso e impegnativo rimane lì ancora ad attenderci. A quel punto una strana sensazione ci attanaglia, ma prontamente ci rispondiamo “Dai ho tempo! Ci penserò oggi pomeriggio!”, ma anche quel pomeriggio “magicamente” compariranno altri imprevisti, altre piccole incombenze e quel compito gravoso resterà lì incompiuto mentre la scadenza di consegna si avvicinerà inesorabilmente. Potrebbero trascorrere così alcuni giorni, fino a quando la scadenza sarà troppo vicina per poter essere ignorata e a quel punto ci resteranno solo due soluzioni: o fare tutto all’ultimo momento, sperando in qualche modo di riuscirci, oppure non consegnare il lavoro, adducendo qualche giustificazione e sperando nella clemenza e comprensione altrui.
Questo comportamento può riguardare gli ambiti più diversi, da quello lavorativo alla famosa “dieta che inizierà lunedì”, ma che poi non inizia mai. Si tratta di un fenomeno che può riguardare tutti noi in gradi differenti e che per alcune persone assume le caratteristiche di un tratto distintivo, tanto da prendere il nome di “The Tomorrow Syndrome”, ovvero la sindrome del domani, indicando la tendenza sistematica di alcune persone a non fare oggi quello che possono fare domani.
Si tratta, in realtà, di un fenomeno psicologico molto studiato e che prende il nome di procrastinazione. Dryden, nel 2001, ne ha dato una definizione utile, indicando con questo termine la tendenza a “rimandare a domani quello che è nel nostro interesse fare oggi” ed ha delineato tre caratteristiche distintive di questo fenomeno:
- un compito che è nel nostro interesse fare;
- uno spazio di tempo nel quale è importante per noi agire;
- il rimandare l’azione ad un altro momento.
L’atto di rimandare un compito o un’azione ad un momento successivo produce l’effetto di alleviare temporaneamente lo stress che la persona sta percependo. Il disagio in quel momento si riduce e la persona sperimenta una sensazione di sollievo. Tale sollievo, però, sarà di breve durata, dal momento che nella mente rimarrà il pensiero che c’è qualcosa in sospeso da fare, accompagnato da una fastidiosa sensazione che impedisce di godere appieno di quel sollievo. Lo scopo del procrastinare, infatti, dovrebbe essere quello di sollevare, almeno temporaneamente, dalla preoccupazione derivante da una determinata incombenza, ma la persona non riesce invece a smettere di pensarci.
La procrastinazione, dunque, si configura come una strategia di gestione emotiva disfunzionale, costituendo, nello specifico, una forma di evitamento. Non si tratta, allora, di una sorta di “tratto della personalità” imputabile a un’innata “pigrizia”: dietro la procrastinazione si cela qualcosa di molto più complesso e molto spesso le persone che rimandano adempirebbero volentieri ai propri doveri, ma proprio non ci riescono.
Quali sono le emozioni che la persona cerca di gestire in modo disfunzionale attraverso la procrastinazione? Quali possono essere i pensieri e le credenze che fanno scaturire tali vissuti emotivi?
Una prima emozione che gioca un ruolo centrale nel fenomeno della procrastinazione è l’ansia. Quest’emozione viene sperimentata quando percepiamo una minaccia, ovvero la possibile compromissione di uno scopo per noi importante. Quali scopi potrebbero essere compromessi nel dover svolgere un determinato compito? La persona, ad esempio, potrebbe ritenere di non poter svolgere quel compito in maniera perfetta e dunque rischiare di compromettere il proprio valore personale. Ancora la persona potrebbe temere di non essere in grado di affrontare quel compito e dunque fallire, avendo un’immagine di sé come persona inadeguata e incapace e vivendo quel compito da affrontare come un banco di prova che “andrà sicuramente male” e che sarà l’ennesima dimostrazione del suo disvalore. Un altro timore, che si potrebbe celare dietro all’ansia che conduce il soggetto a posticipare un compito, potrebbe essere la paura di non essere all’altezza delle aspettative dell’altro e dunque deluderlo.
È stato osservato come anche la rabbia giochi un ruolo in questo fenomeno. Si tratta di un’emozione che viene sperimentata dall’individuo quando quest’ultimo interpreta un evento come un danno ingiusto che sta subendo. La persona che sceglie di rimandare un compito potrebbe vivere come ingiusto il fatto che gli venga “ordinato” di fare qualcosa. Tale percezione porta la persona a sperimentare rabbia, ma invece di esprimerla in modo funzionale e assertivo, evita di manifestare apertamente il proprio disappunto, mettendo in atto un comportamento passivo-aggressivo, rimandando dunque costantemente il compito fino a non eseguirlo.
Un’altra emozione che spiega la tendenza a rimandare gli impegni è la tristezza. Si tratta, in quest’ultimo caso, di una condizione particolare tipica dell’individuo depresso: la persona, durante un episodio depressivo, sperimenta una costante e profonda emozione di tristezza. Tale emozione deriva dalla presenza di credenze negative riguardanti se stessi, il mondo e il proprio futuro. La persona che si trova in questa condizione non ha fiducia in sé, vede il proprio futuro “nero” e senza alcuna possibilità di cambiamento. Vivendo questa costante emozione di tristezza, la persona sperimenta sensazioni di perdita di energia, perdita di entusiasmo e del piacere di fare le cose. Deciderà dunque di non affrontare il compito che lo aspetta, non sentendosi in forze per farlo e aspettando che magari in futuro questa voglia di fare ritorni. Assecondando questo meccanismo, la persona rimane bloccata in un immobilismo che non farà altro che confermare l’impossibilità di uscire da quella situazione.
È ipotizzabile, infine, che anche un’altra emozione possa svolgere un ruolo nella procrastinazione: la noia. Si tratta di uno stato emotivo transitorio che prende origine nel momento in cui lo scopo investito dal soggetto è transitoriamente inattivo, “in stallo”. La persona che procrastina spinta dall’emozione di noia è quella che evita le attività o incombenze ritenute noiose, routinarie: intraprende tipicamente molte attività con entusiasmo, ma venuto meno il fascino della novità tende a stancarsi e a mollare.
Come imparare a gestire la tendenza a procrastinare?
Sebbene al momento non esistano protocolli di testata efficacia per quanto riguarda la procrastinazione, gli interventi di stampo cognitivo-comportamentale sembrano essere quelli maggiormente utilizzati.
Dal momento che la procrastinazione rappresenta una condotta di evitamento, il primo passo dell’intervento sarà costituito dal mettere in luce e poi superare il blocco emotivo iniziale. La persona sarà aiutata a mettere in discussione quelle credenze negative disfunzionali che stanno alla base della sua sofferenza e verrà aiutato ad esporsi gradualmente alle attività evitate per ridurre l’intensità delle emozioni negative che lo portano a procrastinare.
Questo lavoro potrà essere affiancato da interventi comportamentali che sono principalmente rivolti ad aumentare le possibilità di inizio automatico di un’attività, facilitare la gestione del tempo e prevenire le distrazioni durante lo svolgimento di un compito.
Per approfondimenti:
Basco, M.R. (2011). Prima o poi lo faccio! Come modificare la cattiva abitudine di rimandare sempre. Eclipsi
Castelfranchi, C.; Mancini, F.; Miceli, M. (2002). Fondamenti di cognitivismo clinico. Bollati Boringhieri, Torino
Dryden W., (2000) Overcoming procrastination. Trad. It. (2001) Rimandare, rinviare, procrastinare: sempre lo stesso vizio. Editori riuniti
Lari, L.; Gragnani, A.; Calugi, S.; Saettoni, M. (2013). La noia nei disturbi dell’umore: esperienze cliniche e di ricerca. Cognitivismo Clinico
Rozental A., Carlbring P. (2014) Understanding and Treating Procrastination: A Review of a Common Self-Regulatory Failure, Psychology, 5, 1488-1502.