a cura della Dott.ssa Monica Ganni

La pasta è uno dei componenti storici della dieta del bacino del Mediterraneo.

La pasta più comune è quella di semola di grano duro la cui materia prima è rappresentata dal frumento. Con questo termine ci riferiamo a Triticum durum (grano duro) destinato principalmente alla pastificazione e a Triticum aestivum (grano tenero) impiegato soprattutto per la panificazione e la produzione di altri prodotti da forno.

Le varietà di frumento presenti nella prima metà del secolo scorso e che hanno preceduto la Rivoluzione Verde (il termine Rivoluzione verde indica un approccio innovativo alla produzione agricola con impiego di tecnologia chimica, macchinari tecnologici e produzione su larga scala, allo scopo di produrre più cibo) vengono definite grani antichi o tradizionali.

Esistono delle differenze sostanziali tra i grani pre-rivoluzione e quelli post-rivoluzione.

I grani pre-rivoluzione sono a taglia alta mentre i grani post-rivoluzione sono a taglia bassa, riducendo il rischio di “allettamento” (coricamento) e quindi garantendo una più facile trebbiatura meccanizzata.  La resa produttiva per ettaro è maggiore nei grani moderni, a fronte però di una maggior concimazione.  I grani antichi erano un insieme di genotipi (costituzioni genetiche) con una biodiversità elevata, mentre dopo la rivoluzione verde si è andati verso la selezione di grani

“in purezza”, piante tutte geneticamente identiche, con una perdita netta di biodiversità. Una variabilità genetica maggiore  è in grado di adattarsi ai mutamenti ambientali, mentre una variabilità genetica ridotta richiede un maggior intervento dell’uomo (che molto spesso si traduce in utilizzo di prodotti chimici).

I grani pre e post-rivoluzione, inoltre, presentano una differente forza del glutine (W), definita come la capacità della farina stessa di assorbire i liquidi durante l’impasto e trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione; il suo valore dipende dal contenuto di proteine, in particolar modo da quello delle gliadina e glutenina che, insieme, compongono il glutine. Le farine derivate dai grani antichi partono da valori di forza del glutine di 10-50 per arrivare  alle farine dei grani moderni con valori di 90-400, venendo incontro alle necessità dell’industrializzazione degli alimenti.

È bene sottolineare  che le migliori qualità tecnologiche delle farine e delle semole non sono correlate positivamente con le proprietà nutrizionali.

Le varietà di grani antichi sono molteplici. Il Senatore Cappelli è probabilmente la più nota varietà di grano antico presente oggi sul mercato. Il suo nome è un omaggio al senatore Raffaele Cappelli, promotore della prima riforma agraria. A partire dagli inizi del novecento fu la coltivazione più diffusa nel sud Italia, per poi essere sostituito negli anni ’70 da varietà più produttive. Ad oggi il Senatore Cappelli è un frumento molto pregiato, riscoperto per la produzione di pasta e considerato il padre di tutti i grani duri italiani.

Molto diffuso è il  Khorasan ( più conosciuto come Kamut, che in realtà rappresenta il  marchio registrato o nome commerciale). La storia narra che questo grano antico sia stato riscoperto durante la Seconda Guerra Mondiale da un soldato americano, che avrebbe trovato dei semi vicino a un antico sarcofago in Egitto e che li avrebbe poi portati negli Stati Uniti, dove furono coltivati per un tempo relativamente breve e poi dimenticati. Il grano duro Khorasan ha ripreso le sue attrattive negli anni ‘80 e oggi è coltivato negli Stati Uniti e in Canada.

Il Farro è  uno dei cereali più antichi coltivati dall’uomo: era uno degli alimenti base dell’alimentazione nell’antica Roma. Questo cereale è stato probabilmente uno dei primi usati nell’area mediterranea. Il farro ha un’azione lenitiva sulla mucosa dello stomaco e dell’intestino e la pasta di farro provoca minori fenomeni di meteorismo e fermentazioni intestinali rispetto al frumento. Dal punto di vista nutrizionale, i carboidrati sono meno biodisponibili e a più lunga cessione, per cui il suo impiego è adatto nelle diete dimagranti e nel trattamento della sindrome metabolica e del diabete.

Un grano antico coltivato ancora oggi nell’entroterra siciliano, è il grano Timilia, anche se era noto già nella Grecia antica. La sua coltivazione fu abbandonata tra gli anni ‘40 e ‘50 in favore di quella di altri grani. Si tratta di un cereale ricco di oligoelementi e facilmente digeribile e dobbiamo a un piccolo gruppo di coltivatori siciliani il suo recente ritorno sulle nostre tavole, seppure ancora come prodotto raro e prezioso.

Leggendo gli studi clinici sull’uomo, le differenze tra grani tradizionali e moderni appaiono in modo evidente. Lo studio di Francesco Sofi del 2014, pubblicato su di una prestigiosa rivista (British Journal of Nutrition) sottolinea che i grani moderni causano peggioramenti clinici in pazienti con colon irritabile. L’articolo di Anne Whittaker (2017) pubblicato su European Journal of Nutrition, svolto in doppio cieco (cioè con il massimo della certezza dei dati) mette in evidenza come l’assunzione di un grano tradizionale possa migliorare i parametri clinici del diabete di tipo 2 e l’infiammazione ad esso correlata.

Un altro articolo del 2015 (M.C. Valeri et al.) pubblicato su Food Chemistry  mostra che le proteine di due grani moderni sono molto più infiammatorie, rispetto a quelle dei grani tradizionali, osservando cellule del sistema immunitario di pazienti adulti sensibili al grano. La stessa cosa si evidenzia anche su pazienti pediatrici sensibili al grano (Alvisi P. et al., 2017, International Journal of Food Science and Nutrition).

Per quanto riguarda i fenomeni infiammatori o di alterazione della funzionalità intestinale dovuti al grano, la comunità scientifica ha deciso di cambiare nome alla sensibilità al glutine non celiaca e di chiamarla sensibilità al grano non celiaca perché non è sicuro che questi fenomeni infiammatori siano dovuti al solo glutine.

Secondo Enzo Spisni, docente di Fisiologia della nutrizione dell’ Università di Bologna e responsabile scientifico del master in Alimentazione ed educazione alla salute , ci sono altre proteine del grano che possono essere considerate infiammatorie (esempio gli inibitori dell’amilasi-tripsina) e che sono diversamente presenti nei grani tradizionali e moderni.

 In conclusione, per il consumatore i grani non sono tutti uguali. Questo è ancora più evidente se si osserva l’intera filiera produttiva: i grani antichi si coltivano esclusivamente in regime di agricoltura biologica o biodinamica, non vengono miscelati con grani nordamericani o dell’est-Europa, vengono macinati quasi esclusivamente a pietra e, nel caso della pasta, vengono essiccati a basse temperature. Queste non sono solo questioni di marketing ma anche di salute: probabilmente il 90% delle persone, che non hanno problemi di sensibilità al glutine o di infiammazione cronica, possono mangiare qualsiasi grano senza percepire differenze di alcun tipo, ma per una parte di persone, la scelta di quale grano mangiare può contribuire a stare meglio. E prima di decidere di abbandonare totalmente il glutine pur in assenza di celiachia, è consigliabile  provare con i grani antichi, magari cominciando dalla pasta di farro.

La scelta del formato della pasta non è solo importante per creare l’abbinamento ideale con il condimento. Il formato ha un significato importante in rapporto allo scopo nutrizionale che si vuole perseguire. Normalmente, l’industria alimentare prepara i vari formati della pasta attraverso la fase della trafilatura. Quest’operazione viene effettuata facendo passare l’impasto non ancora essiccato, quindi morbido, attraverso griglie di bronzo o di metallo rivestite di teflon, che daranno la forma al prodotto. Il passaggio però genera attriti, quindi aumento relativo della temperatura e così gli amidi tendono a scindersi e a formare zuccheri più semplici, che presentano caratteristiche di più rapido rilascio e assorbimento una volta ingeriti. Ne deriva che dopo aver mangiato un piatto di pasta cosiddetta “corta”, avendo subito una maggior lavorazione, avverrà una cessione degli zuccheri più veloce, con un rapido innalzo dei valori della glicemia. Quindi la pasta”corta” risulterà più adatta nei casi in cui è previsto un dispendio energetico a breve distanza dal pasto, ad esempio una prestazione sportiva un’ora dopo il pasto. Quando si vuole una cessione più lenta e più duratura,  come nel caso di una prestazione sportiva a distanza di 2-3 ore dal pasto oppure in caso di diabete, è consigliabile scegliere come formato spaghetti, linguine, bucatini, in pratica tutte quelle tipologie di pasta che in fase di produzione abbiano subito uno stress meccanico e termico minore.

Anche il grado di cottura della pasta non rappresenta soltanto un’esigenza legata al gusto ma influenza in modo significativo la funzione e la digeribilità di questo alimento. La cottura in acqua della pasta ne provoca una progressiva imbibizione, che è tanto maggiore quanto più lungo è il tempo di bollitura. L’eccesso di imbibizione di acqua diluisce, durante la masticazione, gli enzimi glicolitici  della saliva, con conseguente riduzione della loro efficacia digestiva. Questa azione di disturbo continua nello stomaco, dove i succhi gastrici incontrano maggiori difficoltà ad aggredire un alimento gonfio e imbibito, il che comporta allungamento dei tempi di digestione.

Ne consegue che la prolungata cottura della pasta è da sconsigliare decisamente negli individui con patologie gastriche ed epato-digestive, ma è poco conveniente anche nei soggetti sani, poiché è antifisiologico ostacolare la velocità di svuotamento gastrico e ridurre la capacità di assimilazione. E’ quindi consigliabile consumare la pasta cotta “al dente”, o anche ripassata in padella per aumentare il grado di disidratazione, a meno che non vi siano precise indicazioni che richiedano il  contrario, come in tutte le situazioni digestive caratterizzate da accelerato transito intestinale.

In conclusione, scegliere di mangiare un piatto di pasta significa addentrarsi in un percorso nutrizionale fatto di varie diramazioni, molte più numerose di quelle affrontate in queste righe. D’altra parte, la consapevolezza alimentare è l’ingrediente fondamentale nella ricerca del benessere e di una qualità del vivere.