a cura della Dott.ssa Giovanna Panichi

Una videochiamata Whatsapp con la mamma, un aperi-Skype con le amiche, un meeting di lavoro su Zoom, una lezione su Hangouts meet: ormai la nostra quotidianità è pervasa da impegni di questo tipo e l’utilizzo di piattaforme online ci aiuta a restare attivi sia sul piano sociale, mantenendo contatti interpersonali a distanza, sia su quello professionale, nelle ormai diffusissime modalità smartworking o home office.

Ma perché queste attività sembrano risucchiarci moltissime energie? Cosa le rende così stancanti? Di recente si è cominciato a parlare della cosiddetta “Zoom fatigue”(letteralmente affaticamento da Zoom, dal nome di una delle piattaforme sopracitate), ma vediamo di cosa si tratta…

Ostacoli legati alla tecnologia

Lo schermo che si blocca, un’eco strana, il tasto “mute” che non risponde, mentre una decina di teste ti fissano: “Mi sentite?”, è la domanda più frequente. Queste non sono soltanto alcune delle scene che hanno ispirato numerosi sketch comici presenti sul web, perché nella realtà tali situazionisono spesso fonte di frustrazione e ansia, soprattutto quando si verificano in un contesto diverso da quello amicale: il non riuscire a parlare al momento opportuno o, al contrario, dover ripetere più volte lo stesso concetto durante un incontro di lavoro, minacciano il nostro senso di autoefficacia. In proposito, già una ricerca del 2014, condotta da accademici tedeschi, ha dimostrato che i ritardi di trasmissione (nei sistemi telefonici o di conferenza) anche solo di 1,2 secondi rendono la percezione del ricevente meno amichevole o attenta, influenzando così negativamente la sua opinione sull’altro. Per non parlare delle pause di silenzio che, se creano un ritmo naturale in una conversazione nella vita reale, in una videochiamata possono invece mettere estremamente a disagio.

L’attenzione

Comunicare attraverso un monitor, come accade nella videochiamata, richiede maggiori energie di un incontro faccia a faccia: vedere l’interlocutore attraverso lo schermo, solitamente inquadrato dalle spalle in su, significa aggiungere un ulteriore lavoro per inferire ed elaborare tutti i segnali non verbali, come le micro espressioni facciali, il tono della voce e il linguaggio del corpo (pensiamo alla gestualità e alla postura), che in una conversazione di persona vengono colti in automatico e ci aiutano a dipingere un quadro completo di quello che viene espresso,  a capire “che aria tira”, mentre il nostro cervello è libero di concentrarsi solo parzialmente sulle parole pronunciate. Questa nuova condizione, richiede pertanto un’attenzione costante e intensa, così da risultare estremamente dispendiosa dal punto di vista energetico: “Le nostre menti sono insieme quando i nostri corpi sentono che non lo siamo” (Petriglieri). Le schermate con più partecipanti accentuano questo problema di spossatezza: quando ci troviamo in  modalità “gallery view”, dove tutti sono visibili, il nostro cervello viene inondato da stimoli non familiari e deve decodificare più persone allo stesso tempo mentre è iperfocalizzato sulla ricerca di segnali non verbali. Ci impegniamo così in attività multiple, senza concentrarci veramente su una in particolare, e rischiamo di cadere in quello che viene chiamato meccanismo diattenzione parziale continua,accompagnati da una persistente sensazione di sfinimento, di stanchezza, senza aver realizzato nulla.

L’immagine sociale

“Accidenti, che mento enorme!”…“Ho dei capelli orrendi!!”…“Mi sarei dovuta truccare, guarda che occhiaie!”…”Perché non la smetto di gesticolare mentre parlo?”

Ognuno di noi si è trovato ad avere pensieri di questo tipo, perché, se siamo inquadrati anche parzialmente dalla videocamera, siamo estremamente consapevoli di essere guardati ed è molto difficile non osservare il nastro viso sullo schermo, finendo per fare continui check che ci assicurino di risultare adeguati al contesto: “Quando sei in videoconferenza, sai che tutti ti stanno guardando; sei sul palco, quindi arriva la pressione sociale e ti senti come se dovessi esibirti. Essere performanti è snervante e stressante”. Alla gente piace guardare la televisione, perché permette alla mente di vagare, ma in una  videochiamata “è come se guardassi la televisione e la televisione guardasse te” (Petriglieri). Ci percepiamo sotto una lente d’ingrandimento e l’ansia prestazionale si fa sentire. Lo stesso  contatto visivo prolungato, che è il segnale più facilmente accessibile, può essere letto come minaccioso o eccessivamente intimo e intrusivo, se mantenuto a lungo.

In più, talvolta, si affaccia nella nostra mente il dubbio di comportamenti scorretti da parte degli altri partecipanti, i quali potrebbero, a nostra insaputa, registrare video o scattare foto violando la nostra privacy.

Il senso di costrizione

Come un cartello con scritto “Verboten”, le videochat ci fanno da promemoria e ci ricordano quello che “non possiamo fare”, quello che abbiamo temporaneamente smarrito e questo contribuisce ad incrementare la nostra sensazione di perdita, oltre alla fatica: niente cene con gli amici, nessuno sport di gruppo o abbraccio ai nonni. Ci sentiamo costretti  e compressi in  questa modalità di comunicazione e anche l’happy hour da remoto viene percepito come obbligo, tanto che risulta complicato, se non impossibile,  rilassarci completamente premendo il nostro interruttore su “Off” .

La sovrapposizione dei ruoli

Aspetti della nostra vita che prima erano separati, come lavoro, amici, famiglia, adesso molto spesso condividono lo stesso spazio e la vita pubblica si intreccia con quella privata, se non ad invaderla. Non di rado capita che, durante un’intervista o una conference call,  sullo sfondo appaiano bambini  incuriositi, oppure mamme con in mano una pentola di sugo. Sono diventati di pubblico dominio gli ambienti privati: il salotto, la libreria, la cucina, perfino la camera da letto perché la famiglia è costretta a dividersi “geograficamente” gli ambienti. Eravamo abituati a svolgere la maggior parte dei nostri ruoli sociali in luoghi esterni alle mura domestiche, ma le nuove esigenze ci hanno spinti a rimodulare la nostra vita relazionale, e i confini tra il lavoro ed il tempo libero sembrano sfumare, creando un continuum che ci confonde, rendendoci più vulnerabili ai sentimenti negativi: è come se ci trovassimo a conversare al bar nello stesso momento con nostro figlio, il nostro capo, la nostra migliore amica e il nostro parroco…sarebbe insolitamente difficoltoso, no?

Come ridurre la “Zoom fatigue”?

Per evitare un’overdose da interfaccia web (interazione virtuale), con le conseguenze sopra riportate, dovremmo limitare il numero di interazioni su piattaforma a quello strettamente necessario: per lavoro (spegnendo la videocamera ove l’uso sia facoltativo) e per sentirci vicini alle persone care, relegando tutti gli altri contatti alla classica forma di chiamata semplice, mail o messaggio. Appare importante circoscrivere il tempo da dedicare agli impegni lavorativi, da svolgere in un luogo deputato della casa (possibilmente silenzioso, con una finestra e in prossimità di un router) rispetto a quello da spendere come tempo libero, rispettandone gli orari. Indispensabile inoltre concedersi dei break da dedicare all’attività motoria o ad occupazioni di nostro gradimento, che non contemplino l’utilizzo dei dispostivi elettronici (tablet, pc, telefono) ormai divenuti nostre appendici.

E poi non resta che dare il tempo al nostro corpo di abituarsi a questo nuovo tipo di comunicazione virtuale, peraltro già efficacemente utilizzata in altri paesi esteri, e, come durante tutto il corso della storia, proseguire la nostra evoluzione di animali sociali adattandoci alle esigenze di questa nuova era. Entrare nel giusto mindset, ce ne farà apprezzare i vantaggi sia sul piano organizzativo che logistico: non dimentichiamo che le videochiamate hanno permesso lo sviluppo di interazioni tra persone in un modo che sarebbe stato impensabile fino a pochi anni fa, e oggi consentono relazioni a lunga distanza, il proseguimento del lavoro da casa e garantiscono un senso di unione tra individui in questo periodo così complesso. Stiamo vivendo infatti in una situazione che probabilmente non si è mai verificata nella storia, ma forse tanti sacrifici saranno utili; del resto, come dicevano anche gli antichi, “niente Zeus ha dato all’uomo senza fatica”!

Per approfondimenti:

AA. VV., Video chat is helping us stay employed and connected. But what makes it so tiring – and how can we reduce ‘Zoom fatigue’? in https://www.bbc.com/worklife/article/20200421-why-zoom-video-chats-are-so-exhausting

Sklar J., ‘Zoom fatigue’ is taxing the brain. Here’s why that happens, in

https://www.nationalgeographic.com/science/2020/04/coronavirus-zoom-fatigue-is-taxing-the-brain-here-is-why-that-happens/