a cura della Dott.ssa Viviana Puggioni

”L’uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo”.
(Daniel Pennac)

Nel 2019 il progetto Nati per Leggere compie 20 anni: per me, che faccio parte della rete di volontari presente su tutto il territorio nazionale, Nati per Leggere rappresenta il magico punto di intersezione tra arte, psicologia, neuroscienze, politica e giustizia sociale. Non ha partito, non ha colore. E’ giusto come la salute, come l’acqua e come il cibo: sono pertanto onorata di poterne scrivere in occasione della giornata mondiale del libro e del diritto d’autore.

Cosa fanno i bambini fin dai primi mesi di vita, com’è fatta la loro mente e perché è importante l’esposizione precoce alla lettura in famiglia?

Immaginatevi la predisposizione ad apprendere una lingua come gli scaffali di una libreria: alla nascita è pronta per essere riempita e dispone già di alcuni dolci e rassicuranti inediti, cioè la voce della mamma, il suo ritmo, la sua musicalità. Poi la mamma al bambino presenta il mondo, in un linguaggio che tutti noi abbiamo sperimentato, il motherese o baby talk: il papà, i nonni, la casa, gli altri adulti significativi nella famiglia. Ogni parola che pronunciamo è come un libro disposto sullo scaffale della mente di un bambino, ma la magia del linguaggio e delle relazioni affettive, di tutte le relazioni significative, è che man mano che aumentano i libri lo scaffale aumenta di dimensioni. E’ una magia che i comuni oggetti di una casa non possiedono: sarebbe come se il solo gesto di riempire uno scaffale, generasse un pensile, una cucina, permettesse di aggirare l’ostacolo di un termosifone, per generare un divano e via discorrendo.

Perché è importante l’esposizione alla lettura, insieme al linguaggio?

Perché tutti noi ci costruiamo sopra e a partire da ciò che siamo alla nascita. Mi piace pensare a questo concetto come all’apertura di un ventaglio: maggiore sarà l’apertura alla base, maggiore sarà l’ampiezza dell’arco con cui ci sventoleremo.

L’esposizione alla lettura, che deve essere precoce, frequente, varia e di qualità, comporta uno sviluppo più solido e stabile di quelle aree cerebrali che supportano la comprensione della narrazione e questo dato sembra indipendente dalla variabile reddito (Tamburlini, 2015). Gran parte delle basi per l’apprendimento del linguaggio vengono poste nel primo anno di vita.

La peculiarità del progetto Nati per Leggere consiste nel fatto di essere promosso dall’Associazione Culturale Pediatri, l’Associazione Italiana Biblioteche, il Centro per la Salute del Bambino di Trieste e ha come principio fondante quello dell’universalità del diritto alle storie. Il pediatra è l’unica figura sanitaria che può comunicare con tutti i bambini, la biblioteca è il luogo in cui l’accesso alla cultura è gratuito, in cui tutti sono uguali e possono concorrere al proprio riscatto sociale. Il messaggio di Nati per Leggere è: possiamo non essere genitori colti, ma possiamo comunque costruire per i nostri bambini le basi di un futuro migliore. E questo è un diritto per tutti. Il fatto che la promozione della lettura a bassa voce in famiglia sia operata dalla rete di volontari trova il suo senso nell’accogliere, includere, condividere con qualcuno per il solo fatto di essere parte di un’identica comunità, per il solo fatto di esserci. Nati per Leggere è un progetto di lotta alla povertà educativa e di inclusione sociale.

A cosa serve leggere in famiglia?

Innanzitutto è una forma di contatto e il contatto sostanzia un legame.

Leggere un libro a un bambino ci obbliga ad osservarlo: impariamo a riconoscere curiosità, attenzione, gioia, noia o sorpresa sul suo viso. Tentiamo di catturare la sua attenzione: cosa la stimolerà di più? Il colore, il rumore, la possibilità di morderlo o di lanciarlo, la mia voce che esagera, enfatizza, descrive e dipinge un’immagine? Sarà forse il verso di un animale? Ci offre l’occasione di riconoscere un’emozione, nominarla, risponderle: “Bau! Ridi eh? Che buffo che è!”. Sfatiamo un mito: non servono libri che parlino esplicitamente delle emozioni, perché i buoni libri e i buoni lettori, in un modo meno diretto e meno prescrittivo, più libero e creativo, lo fanno già.

Grazie ai libri diamo l’opportunità a bambini, anche molto piccoli, di definire con parole degli stati d’animo. Verso i due anni, per esempio, buona parte dei bambini comincia a parlare, ma trova difficile comporre frasi con il vocabolario di cui dispone, che si aggira intorno alle 50-100 parole: la nostra voce che legge trasmette un’emozione che un bambino collega alla situazione descritta dal libro e il bambino troverà somiglianze tra sé e i personaggi di una storia: ripetendo le parole di un libro, prima ancora di poter progettare autonomamente una frase, potrà cominciare a condividere le sue emozioni. Condividere le emozioni è un fattore di protezione, è una strategia per regolarle. Prima le parole sostituiranno le azioni, prima sarà possibile per il bambino sviluppare delle strategie per risolvere alcune situazioni problematiche: ogni parola data a un’emozione è un’emozione in meno che viene espressa con il pianto o il percuotere o il lanciare, lasciandoci dubbiosi e disorientati, perché si trasforma in qualcosa a cui possiamo corrispondere con più pertinenza. In pratica, leggere ai nostri figli aumenta la nostra complicità con loro.

La prevedibilità è una delle forme della sicurezza: avere l’abitudine di leggere un libro più o meno sempre alla stessa ora favorisce la tranquillità, spesso concilia il sonno dei bambini, trasmette implicitamente il senso che ci potremo separare durante il giorno, ma ci ritroveremo sempre, attraverso un rito e condivideremo una storia: oggi è in un libro, domani potremmo essere noi e lo svolgimento della nostra giornata.

Alcuni momenti tipici dello sviluppo di un bambino si ritrovano nei libri: ci sono pagine bellissime sulla nanna, sul ciuccio, sul pannolino, sul vasino e sulla mamma che va via quando lo porta all’asilo. Una storia rende un momento della vita pensabile, dicibile e condivisibile.

Anche noi possiamo condividere le nostre emozioni di genitori con i bimbi. Ci crea imbarazzo il fatto di arrabbiarci con lui e magari troviamo libri come “Urlo di Mamma” di Jutta Bauer che ci fa sentire meno soli e più umani.

Come disse la D.ssa Patrizia Seppia con commozione durante il corso di formazione per volontari: “E’ evidente che non c’è un solo motivo al mondo per non leggere ai bambini”.Il presente articolo è scritto grazie al contributo del Centro per la Salute del Bambino, che ha gentilmente fornito il materiale scientifico per la sua redazione. Ringrazio inoltre il personale della Sezione Ragazzi della Biblioteca SMS di Pisa, il gruppo di volontari e la grande famiglia di Nati per Leggere, di cui sono