a cura della Dott.ssa Silvia Timitilli

Nel posto di lavoro un lavoratore trascorre larga parte della propria giornata e tale ambiente talvolta può divenire un luogo molto stressante. Dopo il mal di schiena, è stato stimato che il motivo principale per cui oggi, nei Paesi della Comunità Europea, si resta a casa dal lavoro è proprio lo stress. Secondo l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro, in Europa una percentuale compresa tra il 50% e il 60% delle giornate lavorative perse in un anno è correlata allo stress lavorativo e tale condizione di stress interessa circa il 22% dei lavoratori (EU-OSHA, 2000).

Mentre lavorare sotto una certa pressione, per un breve periodo, può migliorare le prestazioni e produrre effetti psicologici positivi, quali aumento della soddisfazione lavorativa, motivazione e senso di autoefficacia personale; quando le richieste e le pressioni diventano eccessive e prolungate nel tempo s’innesca una condizione di stress cronico che prende il nome di Stress Lavoro Correlato. Questa condizione si configura come un danno psicofisico e consiste in uno stato di tensione emotiva, fisica e mentale che si verifica quando vi è uno squilibrio tra le richieste dell’ambiente lavorativo e le risorse a disposizione.

Lo stress, di per sé, è una risposta adattativa a situazioni ambientali – interne o esterne – percepite come pericolose. Questa risposta attiva la produzione di ormoni, come il cortisolo, e di neuro-trasmettitori, come l’epinefrina e la norepinefrina. Se attivato ripetutamente e in modo prolungato, questo circuito psicofisico di risposta innesca uno stato di iperattivazione adrenalica, che indebolisce il sistema immunitario e che ha effetti a livello cardiovascolare, e mantiene dei livelli eccessivamente elevati di cortisolo, che, a loro volta, possono causare atrofia dendritica dei neuroni dell’ippocampo, favorendo l’insorgenza della depressione e della sindrome da stress post traumatico (PTSD). In una condizione di stress prolungato, dunque, l’organismo entra in una fase di esaurimento delle risorse necessarie per fronteggiare le richieste ambientali.

Ovviamente non vi sono possibilità di eliminare del tutto lo stress dal luogo di lavoro, però, come sancito a livello legislativo, il datore di lavoro ha l’obbligo di “assicurare la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti legati al lavoro” e di “adattare il lavoro all’uomo”. Con la firma, a Bruxelles l’8 ottobre 2004, dell’Accordo Quadro Europeo sullo Stress nei Luoghi di Lavoro è stato ufficializzato che lo stress lavoro-correlato, in quanto possibile fattore di rischio per i lavoratori alla stregua di altri “agenti lesivi”, vada adeguatamente valutato da parte del datore di lavoro e, se presente, gestito, al fine di preservare la salute del lavoratore.

Il costo economico dello stress lavorativo è spiegato principalmente dai costi correlati alla perdita di produttività, all’assenteismo per malattia e all’assistenza sanitaria (EU-OSHA, 2014). Inoltre, le ricerche indicano un’alta probabilità di aumento del fenomeno in futuro, a causa di alcuni cambiamenti attualmente in corso nel mondo del lavoro (es. contratti di lavoro precari, insicurezza lavorativa, forza lavoro sempre più anziana, squilibrio fra lavoro e vita privata) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che, entro il 2020, la depressione sarà la principale causa di assenza sul lavoro.

Quali sono dunque le possibilità di intervento?

Gli interventi volti alla prevenzione e gestione dello stress lavorativo possono essere suddivisi in due tipologie. La prima è costituita dagli interventi diretti all’organizzazione, che vanno ad agire sui fattori di rischio relativi al contenuto e al contesto del lavoro (es. job redesign, rotazione del personale, ecc.). Implementare tali cambiamenti, però, risulta molto dispendioso, sia in termini di risorse economiche che in termini di risorse organizzative e psicologiche. Le persone infatti tendono ad opporre resistenza dinnanzi a cambiamenti che destrutturano i loro consolidati modi di pensare ed agire rispetto all’attività lavorativa.

Gli interventi a livello individuale, che rappresentano la seconda modalità di intervento, mirano a promuovere efficaci strategie di coping e di resilienza individuale al fine di modificare la valutazione cognitiva del potenziale stressor e, di conseguenza, ridurre il suo potenziale impatto negativo sulla salute.

Come illustrato precedentemente, lo stress è una conseguenza alla reazione di adattamento dell’organismo agli stimoli circostanti. Allo scopo di adattarsi ed impiegare meno energia possibile, vengono spesso creati degli automatismi comportamentali che concorrono alla manifestazione dello stress. Gli interventi sui singoli sono quindi focalizzati al riconoscimento di pensieri e comportamenti automatici, con l’obiettivo di sviluppare negli individui la capacità di gestire in modo ottimale le proprie reazioni emotive (strategia di coping emotion based).
Lo sviluppo della consapevolezza di tali meccanismi è dunque il primo elemento necessario per prevenire lo stress e per gestire in modo più efficace una situazione stressante.

Una pratica utile e dalla comprovata efficacia nello sviluppare la consapevolezza di sé è la Mindfulness, ovvero una pratica meditativa di origine buddista, che prevede attenzione al momento presente, alle sensazioni provate e consapevolezza rispetto ad esse e ai pensieri del momento. L’obiettivo della Mindfulness è quello di essere presenti nel “QUI ED ORA” ed accogliere emozioni e pensieri, senza giudicarli.

I vantaggi per la persona lavoratrice e per l’azienda si sono rivelati evidenti:

  • Aumento della capacità di focalizzazione sul compito, concentrazione e memoria, con un conseguente incremento di efficienza e produttività;
  • Aumento della capacità di ascolto, comunicazione ed empatia con i collaboratori e con i clienti, con un miglioramento delle relazioni sul luogo di lavoro e dunque una maggiore soddisfazione;
  • Aumento della capacità di apprendimento, della creatività e della capacità decisionale;
  • Riduzione del tasso di assenteismo dovuto a malattie, infortuni e burn out.

Tali benefici sono dovuti agli effetti della pratica della mindfulness. Ricerche di neuroimaging hanno dimostrato, infatti, che chi pratica regolarmente la mindfulness, può presentare cambiamenti organici stabili nel cervello in virtù di una maggiore neuroplasticità e di un incremento della capacità di promuovere le funzioni integrative della corteccia prefrontale, implicate in processi di regolazione corporea, sintonia interpersonale, stabilità emotiva, flessibilità di risposta e conoscenza di sé