a cura della Dott.ssa Giovanna Panichi
La fibromialgiao sindrome fibromialgica è una malattia cronica che solo recentemente è stata oggetto di studio: da un punto di vista epidemiologico, sappiamo che è una patologia trasversale, a causa multifattoriale, che può manifestarsi in qualunque fascia d’età (anche se il picco si colloca tra i 40 e i 60 anni) prevalentemente nella popolazione femminile (questa rappresenta circa il 90% dei malati) e che provoca dolore diffuso, astenia e rigidità muscolare, con importanti ripercussioni sull’attività lavorativa e sul piano socio-affettivo. Si stima che in Italia ne soffrano quasi quattro milioni di persone, tanto da renderla, in termini di diffusione, la seconda malattia reumatica, dopo l’artrosi. In proposito, abbiamo intervistato la signora Mary, affetta da questa patologia ormai da 3 anni:
“Ero appena uscita da un periodo particolarmente stressante, nel quale avevo cambiato occupazione dopo la vendita dell’attività commerciale a gestione familiare, mia e di mio marito. In seguito ad una brutta caduta nell’aiutare mio padre a scendere le scale, avvertivo un dolore persistente alla gamba destra, simile a quello che si prova per una sciatalgia, ma, nonostante l’uso di farmaci analgesici, la sofferenza non accennava ad attenuarsi, anzi, nell’arco dei giorni si diffondeva al resto del corpo. Era come se “camminasse “, invadendo prima l’altra gamba e poi le anche, rendendomi difficoltoso anche il movimento più semplice…era come se qualcosa mi mangiasse da dentro. A questo, si sono aggiunte insonnia e stipsi per le quali ho dovuto assumere una terapia farmacologica”.
Come hai scoperto che si trattava di fibromialgia?
“Attraverso un iter lunghissimo, nel quale ho fatto innumerevoli visite di ogni genere, con tutte le analisi e radiografie annesse, risultando sempre “soggetto sano”, finché un medico reumatologo mi suggerì l’ANA, un test usato principalmente per valutare la presenza di disordini autoimmuni (ad esempio lupus) e risultai positiva. L’esito di questo esame, in aggiunta alla presenza di 14 tender points su 18 (ovvero punti elettivi di dolorabilità, localizzati nei muscoli, nelle inserzioni tendinee o a livello delle prominenze ossee), indirizzò la diagnosi verso la fibromialgia”.
Come ti sei sentita a quel punto?
“Come se il mondo mi crollasse addosso: con la testa avrei voluto continuare a svolgere le mie mille attività, ma in alcuni momenti non riuscivo neanche a prepararmi un caffè…oppure mi capitava di sentire il telefono squillare e non riuscire ad alzarmi dalla sedia per andare a rispondere…ero completamente bloccata, come se avessi la ruggine nelle ossa. Ho avuto anche il timore di paralizzarmi completamente e perdere definitivamente la mia autonomia”.
Quanto ha influito sulla tua vita relazionale questa patologia?”
“Inizialmente molto: a lavoro percepivo un senso di diffidenza quando esprimevo le mie difficoltà di movimento e quella sofferenza si sommava al dolore fisico, che appariva all’improvviso tanto da rendersi ancora meno credibile… Persino i familiari e le persone più care i primi tempi si mostravano scettici, perché la fibromialgia è una patologia subdola, ‘non si vede’: io appaio sana, di bell’aspetto, relativamente giovane e gli altri non capiscono cosa si prova, ci chiamano ‘malati immaginari’. Questo all’inizio mi ha provocato ansia e depressione…mi sembrava di aver perso tutta la mia vita”.
E poi cosa è successo?
“Mi è stato di grande aiuto il percorso psicoterapeutico: la Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) ha contribuito a migliorare molti aspetti connessi a questa mia patologia, ho imparato a gestire meglio il dolore attraverso diverse modalità comportamentali e di pensiero, ho modificato alcune convinzioni negative legate alla sofferenza stessa e ho appreso l’uso di tecniche di rilassamento che mi hanno consentito di percepire il dolore con meno intensità e di ricorrere un minor numero di volte all’uso di farmaci analgesici. Dopo un po’, ci si abitua al dolore…diventa un qualcosa che permane sullo sfondo, quasi non lo senti più, ci convivi perché diventa parte di te, lo accetti …Nei momenti più difficili, certamente utilizzo ancora dei medicinali mirati, ma la maggior parte delle volte, quando arriva quella sensazione, mi basta mettere in pausa tutto il resto e dedicare dello spazio a me stessa, alle attività che preferisco, come leggere un libro, camminare lentamente, guardare un film …”.
Cosa consiglieresti a chi si trova nella condizione di dover affrontare questa sintomatologia?
“Sicuramente di affidarsi a professionisti, sia in fase diagnostica che successivamente per quel che concerne la cura, di non smettere mai del tutto di muoversi, di provare attività come lo yoga, il pilates o anche delle semplici passeggiate lente e naturalmente di non abbattersi, perché si possono raggiungere gli stessi obiettivi, adattandosi a ritmi differenti”.