a cura del Dott. Dario Pappalardo

Vitriolage, così viene chiamata in Francia l’orrenda pratica della deturpazione premeditata di viso e corpo a danno di malcapitati, molto spesso di sesso femminile, finiti nel mirino di una peculiare categoria di aggressori. La recente agghiacciante vicenda di Rimini, che vede coinvolti Gessica Notaro e Jorge Edson Tavares, è infatti solo l’ultima di una serie ormai lunga di atti violenti di questo tipo, contraddistinti dall’efferatezza con la quale vengono compiuti e, frequentemente, da motivazioni di tipo passionale. Un caso analogo avvenuto nel 2013 è quello di Lucia Annibali, avvocato, sfregiata in volto da due malviventi inviati dall’ex compagno e collega, il quale non aveva accettato la fine della storia ed è stato mosso dal pensiero “se non puoi essere mia, non potrai essere di nessun altro”. Un altro famoso caso di cronaca è quello della “coppia dell’acido”, Alexander Boettcher e Martina Lovato, responsabili dello sfregiamento di Pietro Barbini, reo di aver avuto un rapporto occasionale con la stessa Lovato (poi rivelatosi come clamoroso scambio di persona).

Non circoscrivendo al vetriolage, si contano diverse altre modalità di aggressione violenta, come il bruciare viva la partner dopo averla cosparsa di benzina, o accanirsi con armi bianche sul suo corpo esanime rendendolo quasi irriconoscibile, una sorta di cancellazione, distruzione dell’altro.

Questi non sono semplici atti aggressivi, ma comprendono un risentimento assoluto del suo autore verso la vittima, fuori dal normale, smisurato, come una molla che scatta dopo essere stata caricata al limite. E il vetriolage, oltre a questa rabbia distruttiva, include altri motivi chiave: in primo luogo il desiderio di ridurre la persona in rovina, renderla inumana attraverso la deturpazione del suo volto e del suo corpo, come a farle perdere la dignità di appartenere al genere umano, squalificarla al massimo livello, magari lasciandola in vita in un corpo devastato; in seconda luogo c’è l’intenzione da parte del persecutore di ricordare per sempre alla vittima la gravità dell’errore compiuto, quasi come a dirle “ogni volta che ti sentirai addosso le cicatrici, penserai a quello che hai fatto e te ne pentirai amaramente”; per ultimo, ma non meno importante, è probabile che l’aggressore voglia essere ricordato dalla vittima in maniera indelebile: “ogni volta che ti guarderai allo specchio penserai a me”.

Quale tipologia di persona, pur delusa dalla fine di una storia sentimentale, può arrivare a desiderare questo?

Una rabbia del genere è prerogativa del narcisista patologico, quando questo viene svalutato e ferito. Essere lasciato non significa semplicemente essere messa davanti ad una incompatibilità di coppia o alla presa d’atto che sono stati fatti degli errori non più riparabili. Per queste personalità essere lasciati significa essere annientati sul piano psicologico, essere ritenuti delle persone indegne di vivere e di stare fra la gente e con la gente. Un rifiuto della partner equivale ad essere considerati incapaci e indegni di vivere. La vergogna serpeggia, il senso di impotenza dilaga, l’assenza di senso della vita colpisce prepotentemente e con una forza inaudita. Il mondo a quel punto crolla, e non a caso molti narcisisti sperimentano gravi depressioni e attacchi di panico in queste situazioni unitamente ad una rabbia cocente per chi lo ha fatto soffrire a quel modo.

Purtroppo in taluni casi, questa forza autodistruttiva si traduce in comportamenti distruttivi del prossimo, in una sorta di vendetta divina, quasi come se l’autoproclamatosi Zeus avesse giurato vendetta contro la povera mortale rea di averlo coperto di vergogna, di averlo reso mortale come lei, peggio, un subumano.