Di Sara Pinochi, Psicologa
Marco (il nome è di fantasia) ha 35 anni, vive nel Bolognese e qualche mese fa ha denunciato il compagno per violenza domestica. Per quattro anni ha subito violenza psicologica, percosse e abusi sessuali, mentendo quando andava a farsi medicare al pronto soccorso. Poi, un giorno di novembre del 2014, le botte sono state talmente forti da farlo svenire. La madre e gli amici l’hanno convinto a sporgere denuncia: Marco ha troncato la relazione e si è rivolto alla polizia che l’ha aiutato ad allontanare il partner da casa. Le cose però non sono migliorate. Infatti, l’ex – un ragazzo di 29 anni con problemi di cocaina – si è presentato decine di volte sul luogo di lavoro di Marco, addetto alle pulizie in un condominio, accompagnato da due amici e armato di coltello con l’obiettivo di spaventarlo. Marco ha chiamato polizia e carabinieri, che non sempre sono arrivati in tempo. Così ha perso il posto: stanco dei fastidi, il titolare dell’impresa non gli ha rinnovato il contratto. Non è tutto.
Alla luce dell’esperienza vissuta ad oggi Marco afferma: «Se tornassi indietro non denuncerei più, chiuderei la relazione e basta. È stato troppo umiliante. Alcuni agenti mi hanno detto che avrei dovuto rispondere alle botte del mio ex visto che sono un uomo. Mi sono sentito io quello sbagliato, incapace di difendersi. E il centro antiviolenza a cui mi sono rivolto ha deciso solo dopo una riunione straordinaria di accettare il mio caso: ho dovuto chiamare di decine volte. Poi abbiamo iniziato il percorso, ma con un grande imbarazzo. Ero il primo uomo che vedevano. E che dire delle dichiarazioni che ho rilasciato nell’ufficio del P.M., mentre un flusso di persone andava avanti e indietro, sghignazzando per i miei racconti? Credo che le persone e le strutture non siano pronte per storie come la mia. Quando la vittima di violenza domestica è un uomo tutto diventa più difficile. Avrei voluto trovare le istituzioni all’altezza della situazione, invece mi sono solo sentito a disagio».(www.IlPost.it; 23/8/2018).
Nella
maggioranza dei casi, quando pensiamo alla violenza domestica e alle sue varie
forme, lo facciamo quasi sempre in riferimento a quella che un uomo mette in
atto nei confronti di una donna dal momento che l’opinione comune, l’attenzione
dei media e anche quella scientifica, sono nella maggioranza dei casi volte a
considerare il fenomeno della violenza e dell’abuso come una condizione
femminile. Questo accade perché gli atti di violenza vengono considerati come
una questione di genere, una questione riguardante marito e moglie, cosicché
ancora oggi, nella nostra
società moderna, la maggior parte delle persone ritiene che questo fenomeno possa verificarsi solo ed esclusivamente nelle coppie eterosessuali. L’inesattezza che caratterizza il suddetto modo di pensare, proviene da un’errata credenza secondo cui la forza e il potere siano elementi costitutivi del solo genere maschile in virtù del ruolo di dominanza e potere che storicamente gli è sempre stato attribuito. La considerazione così tradizionale del genere ci porta di conseguenza, ad immaginare un aggressore che viene identificato per la sua forza e prestanza, nel genere maschile mentre la vittima, accondiscendente, docile, sottomessa e impaurita, nel genere femminile (Murray & Mobley, 2009; Stiles-Shields & Carroll, 2014).
Quello che però viene evidenziato dalle poche indagini in merito è che il fenomeno risulta essere identico sia per incidenza che per modalità a quello che si verifica all’interno delle coppie eterosessuali con tassi di prevalenza addirittura più elevati rispetto a quest’ultime (Woulfe & Goodmann, 2018). A sostegno di questa somiglianza tra pattern di violenza nelle coppie etero e omosessuali, Peterman & Dixon basandosi sulle fasi del Ciclo della violenza di Leonore Walker (1979), hanno osservato come sia possibile riscontrare in loro, gli stessi modelli di comportamento violenti e gli stessi meccanismi di azione. Tra questi troviamo una fase di crescita della tensione caratterizzata da comportamenti di controllo del partner e presenza di microconflittualità all’interno della relazione, maltrattamenti psicologici con “esplosioni” che inducono alla violenza ed infine il pentimento dell’abusatore che avanza false promesse di cambiamento alla vittima.
Allo stesso modo delle dinamiche di azione, sembrano essere comuni anche i fattori di rischio e tra questi oltre a comportamenti di controllo e monitoraggio del partner, conflittualità all’interno della relazione e caratteristiche individuali di bassa autostima e insicurezza, l’omofobia interiorizzata sembra avere un certo peso.
Definita come un insieme di stereotipi e credenze in grado di spiegare quegli atteggiamenti e comportamenti discriminatori messi in atto nei confronti dell’orientamento sessuale di qualcuno con il consapevole scopo di difendere il proprio “gruppo dominante” dalla minaccia, l’omofobia interiorizzata descrive una particolare forma di rifiuto e disprezzo provato da parte delle persone omosessuali e bisessuali, nei confronti dei comportamenti omosessuali e dell’omosessualità stessa. Oltre ad incidere negativamente sul benessere individuale con possibili sintomatologie depressive, stati ansiosi e discriminazioni sociali sembra essere strettamente connessa al fenomeno della violenza domestica all’interno delle coppie omosessuali (Murray, Mobley, Buford, & Seaman-DeJohn, 2007).
Dai
risultati di un recente studio condotto presso l’Università degli studi di
Firenze del 2019 su un campione di 99 soggetti omosessuali aventi una relazione
di coppia stabile della durata di almeno un anno è emerso che i sentimenti di
disprezzo, di non accettazione e negatività verso la propria sessualità tipici
dell’omofobia interiorizzata, si associano alla tendenza a mettere in atto e
subire abuso psicologico, dove per abuso psicologico si intende un
maltrattamento nascosto ma prolungato nel tempo tale da distrugge l’autostima e
il senso di identità della vittima al fine di poterla controllare e dominare
(Murray et al., 2007; Woodyatt &
Stephenson, 2016; Montano, 2007). Ciò che però emerge in modo significativo è
che questi sentimenti omofobici autodiretti sono presenti non solo in coloro
che commettono abuso psicologico sul partner e che quindi proiettano tutto il
loro disgusto e rabbia sull’altro membro della coppia ma anche in quelli che lo
subiscono; vale a dire che allo stesso modo degli Offender, le vittime possono provare gli stessi sentimenti con
l’unica differenza che il disprezzo nutrito per la propria sessualità è orientato verso sé stessi e non sull’altro (Balsamo, 2001). Questo, da un lato potrebbe portare le vittime a giustificare la violenza subita e a ritenersi meritevoli di abusi a causa del proprio orientamento sessuale e dall’altro potrebbe alimentare stati di tensione e di rabbia da parte del partner nei casi in cui l’altro membro della coppia accetta sé stesso ed il proprio orientamento, come riporta un partecipante allo studio di Woodyatt e Stephenson: “Ho visto persone che odiano realmente chi sono.. che non si accettano. Credo che le persone che sono aperte quanto me possono causare problemi” (Woodyatt &Stephenson, 2016, p. 8-9).
Queste espressioni sottili o sfacciate di omonegatività da parte di altri uniti ai timori che i membri della famiglia possano attribuire l’abuso subito al proprio orientamento sessuale possono portare ad un isolamento sociale e ad una mancata denuncia da parte della vittima che ne limita la ricerca aiuto (Murray et al., 2007). Perciò alla luce di questo e della scarsa letteratura che caratterizza lo specifico scenario italiano, appare di estrema importanza sia clinica che sociale, indagare ulteriormente quanto questi pregiudizi siano presenti all’interno di coppie omosessuali al fine di prevenire l’insorgenza di possibili scenari clinici di sofferenza psicologica e di violenza domestica.
Bibliografia
Balsam, K. F. (2001). Nowhere to hide: Lesbian battering, homophobia, and minority stress. Women and Therapy, 23 (3) 25-37.
Murray, C. E., A. K. Mobley, A. P. Buford, and M. M. Seaman-DeJohn. (2007). “Same-Sex Intimate Partner Violence: Dynamics, Social Context, and Counseling Implications.” The Journal of LGBT Issues in Counseling 1 (4) 7-30
Peterman, L. M., & Dixon, C. G. (2003) Domestic violence between same-sex partners: Implications for counseling. Journal of Counseling and Development, 81, 40-47.
Stiles- Shields, C., Carroll, A. (2014) Richard. Same Sex domestic Violence: Prevalence, Unique Aspects, and Clinical Implications. Journal of sex & Maritial Therapy. Vol 41. 636-648.
Tani, F., Pinochi, S. (2019). L’abuso psicologico nelle coppie dello stesso sesso: un contributo empirico. Tesi di Laurea Magistrale, Università degli studi di Firenze.
Woodyatt, C.R. & Stephenson R. (2016). Emotional intimate partner violence experienced by men in same-sex relationships. Culture, HealtH & Sexuality.
Woulfe, J.M., Goodman L.A. (2018). Identity abuse as a tactic of violence in LGBTQ communities:
Initial validation of the identity abuse measure. Journal of Interpersonal Violence, 1-21.