Allarme rosso: mi sono bloccata! Puoi rimettermi in pista?
“Cosa posso fare per te?” chiese Dorothy.
“Va’a prendere un barattolo d’olio e oliami i giunti” rispose l’uomo di latta. “Si sono arrugginiti e non riesco più a muoverli; una volta oliato starò benissimo!”
(Il mago di Oz, L.Frank Baum)
Alba, che voleva essere aggiustata
Ho sentito il bisogno di avvicinarmi alla psicoterapia quando ho preso coscienza del fatto che stessi attraversando quello che credo sia stato il periodo maggiormente statico e inerte fino ad ora.
Le aspettative che avevo dalla terapia erano sbagliate. Vi riponevo la speranza di “essere aggiustata”; direi che il miglior paragone che mi viene in mente, e che avevo anche al tempo, è quello del meccanico. L’idea con la quale mi sono avvicinata alla psicoterapia, e che coincideva con l’obiettivo finale, era quella di sistemare i pezzi che non andavano bene per poi recuperare il tempo che non avevo “ben speso”. Una volta svolta la prima seduta però mi sono interfacciata con qualcosa di particolarmente diverso, oserei dire un’altra dimensione, dove non c’era alcun tipo di aspettativa nei miei confronti. La difficoltà, a questo punto, per me, si è elevata perché non essendo io oggetto di aspettative o risultati, non era facile individuare i binari sui quale incanalarmi. Ciò non deve essere inteso in accezione negativa, quale disinteresse, ma al contrario è stato percepito come l’attenzione più totale al mio individualismo: la sensazione di disorientamento svaniva ogni volta in cui (ri)conquistavo una parte di me. Ogni pensiero, dubbio, paura o domanda era lecito, meritevole di essere approfondito e mai non pertinente. Inevitabilmente dovevo utilizzare la farina del mio sacco, creare collegamenti e smuovere parti che erano da tempo assopite. Come una macchina viene prodotta in serie e quando si rompe vengono cambiati i pezzi, in serie anch’essi, credevo che anche per la mia situazione potesse andare bene – o fosse sufficiente – una cura standardizzata, basata su una lista di atteggiamenti da seguire o meno. Invece è stato totalmente, e meravigliosamente, diverso.
E’ stato un viaggio alla (ri)scoperta di me stessa. Durante gli ultimi anni, avevo costruito le mie aspettative basandomi sul riflesso di quanto mi circondava, pensando che quella fosse l’unica dimensione possibile e valevole; nutrivo la speranza che, nonostante il malessere latente, tutto questo potesse un giorno andarmi bene. Con la psicoterapia mi si sono presentate sfide diverse da quelle cui ero abituata. Mi sono trovata di fronte a delle porte chiuse da me stessa al di là delle quali c’erano emozioni, valori, interessi che mi appagavano ma non confacenti i parametri ritenuti funzionali e le aspettative altrui. Ho scoperto invece un nuovo tipo di funzionalità, quella emozionale e sentimentale, e come questa possa connettersi alla parte razionale.
Dopo il primo mese di terapia ho subito avvertito i benefici: non tanto perché avessi trovato la risposta a quelle che erano le mie domande iniziali o perché fossi stata aggiustata, ma perché avevo capito che il mio modo di ragionare era paralizzante in quanto non completamente mio. Sono riuscita a cambiare il modo con cui mi approcciavo con me stessa da inquisitorio e giudicante a curioso e maggiormente umano: se da un alto è vero che ho abbassato gli standard che mi prefiggevo di raggiungere, dall’altro non ritengo di “essermi accomodata” ma semplicemente di aver trovato una dimensione diversa, altrettanto meritevole, e a me più confacente e di aver preso coscienza del fatto che forse – seppur in piccola parte- le aspettative che avevo nei miei confronti erano dettate dalla volontà di non deludere gli altri. Il mio percorso, per come l’ho percepito, si è sviluppato da solo ed è riuscito a spaziare in ambiti molto diversi tra loro ma della stessa importanza: futuro lavorativo, rapporto con la famiglia e una relazione sentimentale. E’ stato particolarmente interessante e sfidante cercare di creare e recuperare la mia “scala dei valori”: non perché io di valori non ne avessi ma perché credevo che i miei non fossero funzionali, per quanto da me ritenuti giusti.
Durante questo lavoro ho effettivamente capito che ci può essere, e che anzi deve esserci, un collegamento tra la sfera emotiva e quella razionale. Nel momento in cui ho raggiunto questa conquista, avevo una doppia immagine di me stessa: mi sentivo leggera ma non vuota, nuda e vestita allo stesso tempo. Avvertivo una dimensione ben definita di me stessa, dove avevo acquistato di nuovo fiducia in me stessa, avevo riconosciuto il mio valore ed avevo preso coscienza del fatto che anche io potessi essere considerata “interessante”, e allo stesso tempo sentivo che queste erano soltanto le basi per una maggiore crescita. Questo è stato fondamentale perché mi ha permesso di sciogliere dei nodi mentali che io non riconoscevo più come tali perché ormai presenti da tanto tempo, e pertanto diventati status quo.