A cura della Dott.ssa Lavinia Rossi e della dott.ssa Giovanna Panichi
Uno sfregio permanente sul viso per “mettersi alla prova”, gruppi di adolescentiche, in piena pandemia,si ritrovano nelle piazze, scatenando risse e assembramenti, nella maggior parte dei casi senza utilizzare le mascherine per proteggersi e proteggere gli altri dal contagio.…cosa sta succedendo? come è possibile che dei giovanissimi arrivino a compiere gesti simili?
Sono numerose le ipotesi che tentano di spiegare quello che sta accadendo alla fascia più giovane della popolazione.
C’è chi sostiene che siamo di fronte ad un fenomeno vecchio, facente parte dello sviluppo adolescenziale, che si realizza con modalità nuove grazie all’uso della tecnologia: il ricorso alla violenza auto ed eterodiretta, esiste da sempre, proprio come il rischio di emulazione di comportamenti anomali. Quasi tutti gli adolescenti, infatti, sperimentano la trasgressione e devono provarsi, anche al limite del lecito, tutti hanno violato norme e regole, fa parte del percorso di crescita, e in questo momento, in cui è molto ridotta la possibilità di violare delle “norme normali”, tutto viene esasperato. Non dimentichiamo, inoltre, che secondo i dati Eurostat relativi al 2017, siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di giovani ‘Neet’ (Not in education, employment or training) che non studiano, non lavorano e non seguono nessun percorso di formazione (un italiano su quattro tra i 15 e i 29 anni), cosa che allunga il tempo libero, quel tempo in cui, non avendo niente da fare, si può chattare in rete e frequentare i social per ore ed ore. In gruppo, poi, c’è una diminuzione della responsabilità individuale e un sentimento di condivisione con un proprio simile, che può mancare in famiglia. A questo possiamo aggiungere che la difficoltà della scuola stessa, oltre che degli adulti in generale, a svolgere il loro ruolo di costante formazione.
Quindi ecco che i ragazzi si danno appuntamento in chat e poi, sempre attraverso i social, condividono e diffondono immagini delle risse o di altri comportamenti al limite. La rete e i social network hanno un ruolo centrale in tutto questo: una comunicazione immediata e assolutamente reale, che porta ad una riduzione del tempo del pensiero oltre che ad una diffusione istantanea su larga scala, che non tiene conto dell’interlocutore, o di sue eventuali fragilità, tanto da innescare molto spesso un effetto di contagio sociale, per cui l’azione condivisa diventa una sorta di prescrizione nell’orientamento del comportamento di altri che si riconoscono simili. Se pensiamo che oggi i giovani crescono in un contesto dove l’immagine e la notorietà sono al primo posto, non è difficile comprendere come la violenza, quale moda, prenda piede sulla base della necessità di sentirsi parte di un gruppo che fa tendenza, che riscuote popolarità, che ti fa sentire ‘forte’.
Il meccanismo alla base di tutto questo è l’imitazione, caratteristica innata dell’essere umano: siamo esseri che apprendono emulando dei comportamenti, grazie forse ai neuroni specchio e alla consonanza intenzionale, ed è inevitabile che alcuni comportamenti approvati dal gruppo, addirittura esaltati, in questa fase della vita, siano esplosivi.
Sarebbe, però, superficiale non tener conto del periodo storico in cui si stanno verificando certi episodi: è innegabile che le restrizioni a cui sono sottoposti i più giovani in questo momento di pandemia, giochi un ruolo non solo nella modificazione nelle abitudini quotidiane, ma anche del loro modo di “sentire”: le misure preventive imposte dalla situazione di emergenza e l’isolamento sociale che ne consegue, si associano alla perdita di controllo e alla sensazione di “sentirsi in trappola”.
Pertali motivi, potremmo rintracciare in certi agiti la necessità di evadere o anche più semplicemente di esprimersi, laddove la forbice generazionale si è aperta ancora di più.
Secondo lo studio Young people bear the brunt of pandemic mental health issues, pubblicato su Public Healt e condotto in Gran Bretagna, i ragazzi sono tra i più a rischio depressione a causa della pandemia. L’84% delle persone tra i 18 e i 24 anni, infatti, ha riferito di aver riscontrato sintomi di depressione, mentre il 72% di ansia. Il rimanente, comunque, ha indicato sensazioni di disagio per la solitudine e una consistente riduzione del buonumore.
Sono le conseguenze psicologiche del confinamento, del corpo “ristretto”, della separazione dai propri riferimenti amicali e relazionali: gli adolescenti, privati della consueta dimensione relazionale, costretti ad ampie limitazioni nello spazio-tempo, sottoposti alla cessazione di ogni attività propria delle routine e degli impegni funzionali alla crescita, si rivelano adesso ancora più a rischio di molte reazioni problematiche.
Soprattutto per i giovanissimi, che attraversano la crisi adolescenziale crescendo per “discontinuità”, per salti qualitativi repentini, che vivono le esperienze attuate hic et nunc come elementi di formazione della propria personalità e come modo di leggere e rapportarsi con la realtà, un tempo come quello attualmente vissuto incide in modo indelebile sul loro mondo interno. Se la vita viene percepita come un insieme di opportunità, poste le une accanto alle altre, secondo i propri interessi, le opportunità ludiche, il riposo, alle esperienze condivise dal gruppo, allora gli adolescenti vedono solo in comportamenti trasgressivi o violenti un modo per nascondere la propria debolezza, la frustrazione, la mancanza di investimenti emotivi significativi.
La violenza si fa maschera: in Joker nasconde la follia, qui, invece, una profonda solitudine o forse un vuoto cognitivo ed emotivo. Negare l’evidenza, attuando comportamenti rissosi all’insegna della prevaricazione, può anche costituire una forma difensiva nei confronti di una condizione che causa angoscia, frustrazione e senso di impotenza.
Che fare? Ci troviamo di fronte ad una situazione senza precedenti per la portata della crisi e per il contesto che ha trasformato ogni interazione, e dunque, per quanto possibile, se vogliamo promuovere il benessere e il senso di sicurezza degli adolescenti, è più che mai opportuno utilizzare rassicurazioni, informazioni adeguate e azioni volte a ridurre lo stress. Sarebbe soprattutto importante aiutare i ragazzi a reinvestire il loro tempo e le loro energie in qualcosa che li “riempia” emotivamente e che vada a colmare quell’inevitabile disagio che l’impoverimento relazionale, la mancanza di comunicazione nei vari contesti significativi, cose non nuove ma esasperate in tempo di Covid, portano con sé, tenendo presente che ormai le forme più frequenti di scambio comunicativo tra i giovani avvengono al di là di un monitor, con l’ausilio di telefonini, mouse, tastiere, nella condivisione in gruppo di esperienze personali frustranti o trasgressive, persino di stati affettivi, soprattutto di quelli negativi, a prescindere dalle dinamiche profonde individuali dei soggetti coinvolti.