a cura del dott. Dario Pappalardo
Dopo il riconoscimento del Nastro D’argento, “La Pazza Gioia” di Paolo Virzì è insignito di un altro prestigioso premio: la storia della fuga dalla clinica psichiatrica Villa Biondi di due pazienti, Donatella e Beatrice, interpretate rispettivamente da Micaela Ramazzotti e da Valeria Bruni Tedeschi, ha conquistato, lo scorso 27 Marzo, anche cinque David di Donatello:
- miglior film
- miglior regista
- miglior attrice protagonista (Valeria Bruni Tedeschi)
- miglior sceneggiatura
- migliore scenografia
Questo film tocca gli addetti ai lavori della salute mentale per più di un motivo:
- il soggetto cinematografico: si parla di salute mentale, di case di cura, e lo si fa dal punto di vista dei pazienti psichiatrici raccontando, necessariamente con verve cinematografica, cosa li ha condotti fino a tal punto, ovvero al bisogno di riabilitazione, terapia e reinserimento sociale. Questo film ha il merito di riportare alcuni di noi indietro nel tempo, in quei centri di riabilitazione, imberbi, sguarniti di tutto al di fuori della nostra buona volontà, davanti a vite provate dal male assoluto, dandoci le chiavi del loro sentire profondo.
- consulenza di Roberto Lorenzini: il film è molto ben fatto e verosimile, per quanto i tempi incalzanti del cinema lo consentono, e questo è sicuramente merito, senza falso campanilismo, del mio concittadino, Paolo Virzì, il quale, prima di affrontare un argomento, studia a fondo la materia e si avvale della consulenza e dei suggerimenti di figure autorevoli del settore. È questo il caso di Roberto Lorenzini, autentico monumento della psicoterapia italiana, e in particolare del cognitivismo italiano.
- l’irrefrenabile lotteria delle diagnosi: “secondo me Donatella è border, poi si taglia anche” “ma alla fine si dissocia,vero?” “io ci vedo anche un DCA, chissà se si preoccupa del proprio peso e forma corporea”, “Beatrice è narci!” “ma no, è bipolare, e forse pure istrio!” “però poi con Renato, altro che narci!” “ci sarà comorbidità”… il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) è una comoda cassettiera dai cui cassetti estraiamo descrizioni da abbinare al tipo psicologico e psicopatologico che incontriamo, sia nella vita reale che nei film. Lo si fa anche per divertimento. Ne “la Pazza Gioia” abbiamo avuto la fortuna di non assistere ad una tipizzazione di disturbi, ad una caricatura di personaggi tali da essere inquadrati ed esplicati alla luce del loro disturbo. Donatella, e soprattutto Beatrice, mostrano varie sfaccettature di personalità, cangianti nel corso del film. Un esempio di questo lo dà la totale trasformazione di Beatrice nel momento in cui ritrova il suo ex amante. Beatrice, fino a quel momento esuberante, capricciosa, manipolatoria, talvolta rabbiosa e lunatica, si trasforma inaspettatamente in una povera vittima dipendente dal proprio carnefice. Qua si spengono le speranze di accomodare la suddetta all’interno di uno o due dei succitati cassetti e troviamo tutta la complessità del genere umano.
- La relazione terapeutica: questo film ha un ulteriore pregio. Quello di mostrare quanto possa essere curativa la relazione, in questo caso non fra terapeuta e paziente, bensì fra paziente e paziente. Il rapporto fra le due sembra minuto dopo minuto una sorta di danza. Scattano accudimento e attaccamento dall’una e dall’altra parte in occasioni diverse. Donatella non risponde mai agli affondi agonistici e istrionici di Beatrice. D’altra parte Beatrice non si sconvolge per la storia e l’apparenza problematica di Donatella e, anzi, ne sente pian piano la vicinanza affettiva. E alchimia fu, come giustamente notano all’inizio della pellicola gli operatori di Villa Biondi.
Senza dubbio ci sono anche critiche da avanzare, compresa quella che vede Paolo Virzì di nuovo affetto dal virus della retorica dei buoni sentimenti (e.g. la scena nella quale Donatella incontra il figlio), come anche in altre pellicole ha mostrato, ma ciò non toglie valore all’opera, che giustamente viene premiata anche in questa occasione.