A cura della dott.ssa Elisa Tenucci
Un’esperienza diretta di una psicologa
Ogni giorno ci capita di ascoltare o leggere storie di donne abbandonate a loro stesse, picchiate, seviziate,sfregiate, pedinate, utilizzate a fini pornografici, ribelli ad una cultura che le opprime e perché no anche uccise…ma questi rappresentano solo i casi più eclatanti, d’interesse mediatico e che come tali, col passare del tempo,entrano nel dimenticatoio della vita quotidiana. Ogni giorno molte donne vengono maltrattate fisicamente, sessualmente e psicologicamente.
La violenza è fatta anche di minacce, soprusi, trascuratezze, ricatti psicologici e di incoerenze relazionali che possono arrivare a distruggere una vita.
“ La vita si ascolta, così come si ascolta il mare…le onde montano, crescono, cambiano le cose. Poi tutto torna come prima, ma non è la stessa cosa”
Questa frase di Alessandro Baricco può essere una metafora di come si può approcciare uno psicoterapeuta alla violenza di genere e allo stesso tempo spiega come si può sentire una donna intrappolata in questo vortice.
Ma qual’è la definizione della violenza di genere secondo la Dichiarazione delle Nazioni Unite?
“…ogni atto di violenza fondato sul genere che comporti o possa comportare per la donna danno o sofferenza fisica, psicologica o sessuale, includendo la minaccia di questi atti, coercizione o privazioni arbitrarie della libertà, che avvengano nel corso della vita pubblica o privata…”
(art.1 ONU,1993)
Quando ci si trova di fronte ad una donna che ha subito una qualsivoglia forma di violenza,come terapeuta, ci si mette in ascolto, così proprio come si ascolta il mare. A volte possiamo avere davanti un’onda che si ritrae che ad ogni nostro passo va sempre più indietro, che non vuole nessun contatto, perché è dominata dalla paura, dai sensi di colpa, perché è abituata a non essere vista riconosciuta, ad essere trasparente, proprio come l’acqua. Altre volte, invece ,può succedere di essere di fronte ad un’onda che si alza come durante ad una tempesta, che poi esplode o si schianta, che non riesce a tenere tutto dentro, e parla, parla, parla, e si racconta, senza sapere da dove inizia o su quale scoglio o spiaggia si infrangerà. E tu, psicologo/a ti senti piccolo, fragile, inerme, impotente come un pesce troppo piccolo che deve portare un peso troppo grande. Ma alla fine raccogli l’ossigeno necessario, cerchi di capire da che parte va la corrente e insieme a quell’onda,cerchi di incamminarti verso il riparo più vicino.
La quiete che segue fa in modo che la persona che abbiamo davanti riesca a riprendere le sue forze, che si rialzi con le sue gambe, ma non è la stessa cosa, non è la stessa persona perché la violenza ti cambia, non è detto che lasci sempre delle cicatrici visibili, ma ti cambia dentro, ti lacera, e i punti che vengono dati per suturare la ferita lasciano un segno. Accade che si possa divenire più forti, che si possa reimparare a credere in sé stesse, che si lotti ogni giorno per riconquistare quella libertà che era stata negata, che ci si alzi per andare a quel lavoro tanto sudato,a mettersi quel velo di trucco che era stato negato o che sorrida ad un passante che prima non era consentito guardare. E dentro? Dentro rimane un sassolino con cui piano piano si impara a convivere,invece che a lottare. Queste cose le ho provate sulla pelle ascoltando le innumerevoli donne che mi sono passate davanti negli anni mentre ero seduta ad una scrivania del Centro Antiviolenza Luna Onlus, e no, non è stato facile.
Da soli o in pochi non si può fermare o arginare un fenomeno come quello della violenza. Quindi se il pensiero va rivolto all’importanza e il rispetto della vita di una donna oggi, 8 di marzo, se oggi qualcuno ha voglia di fare qualcosa al riguardo, allora, forse, dovrebbe essere l’8 marzo ogni giorno.
“Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato,per tutto questo:
in piedi, Signori, davanti ad una Donna.” (W.Shakespeare)