a cura della dott.ssa Elisa Tenucci
Chi dice che anche da grandi non si possa imparare nulla dal forse più famoso best-seller per ragazzi ?! Sicuramente un babbano[1]!
E chi dice che non possa essere utile anche a psicologi o psicoterapeuti per lavorare con i pazienti?
Una cosa che mi ha subito colpito dalla prima volta che ho avuto la possibilità di assaporare l’ACT è la sua applicabilità ai diversi contesti e soprattutto a persone di ogni età.
L’ACT (Hayes, Strosahl, Wilson,1999, acronimo di Acceptance and Committent Therapy, è un intervento psicologico volto ad incrementare la flessibilità psicologica, capacità di un individuo di essere pienamente in contatto con il momento presente e di cambiare o persistere in comportamenti che perseguono i valori scelti come importanti per la propria persona. L’obiettivo dell’ACT è, infatti, quello di aiutare il paziente a muoversi in modo efficace, con comportamenti che vanno verso i propri valori, anche in presenza di eventi avversivi. Può essere definito approccio contro-intuitivo: invece che tentare di eliminare o ridurre la comparsa di emozioni o pensieri negativi insegna sia a pazienti che ai terapeuti a farvi spazio.
Al cuore dell’ACT vi è la concezione che la sofferenza psicologica è creata dal linguaggio che intrappola i pazienti dentro tentativi inutili di combattere la sofferenza interiore: passo dopo passo questo approccio insegna a scardinare questi meccanismi attraverso l’uso di tecniche quali metafore, paradossi e esercizi esperienziali. Di fatto l’ACT non utilizza come strumento principale gli interventi diretti su contenuti di pensiero ma cerca di favorire l’accettazione dei pensieri e delle emozioni per quella che è la loro natura (cioè “solo” pensieri e emozioni) e di stimolare la messa in atto di azioni che contribuiscano a vivere una vita appagante e soddisfacente. Secondo questo modello, la flessibilità psicologica si può raggiungere, o promuovere, attraverso interventi su ciò che vengono considerati i sei pilastri del modello: Contatto con il momento presente, Accettazione, Defusione, Sé come contesto, Azione Impegnata, Valori.
Ed è proprio in riferimento a questi pilastri che entra in gioco la saga di Harry Potter.
Come si può spigare ad un paziente uno dei processi dell’ACT senza utilizzare termini a loro oscuri?
Attraverso l’uso di metafore.
Come si possono costruire queste metafore, ad esempio, quando si ha a che fare un giovane pazientino?
Semplice: attraverso il magico mondo di Harry Potter!
Uno scenario che può essere d’aiuto può essere quello descritto nel capitolo 7 del libro “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” (J.K. Rowiling,1999) dove si trova l’intera classe alle prese con la prima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure[2] con il professor Lupin[3]. (Vedi link : https://www.youtube.com/watch?v=-Y0avnVLHV4 )
Quest’ultimo presenta ai suoi studenti, rinchiuso dentro un antico armadio a specchio, una creatura magica il Molliccio[4], un Mutaforma, ovvero un’animale che liberato assume la forma di ciò che una persona teme, è questo che lo rende così terrificante per le persone che lo devono affrontare. Spiega poi loro che esiste un incantesimo per affrontarlo: RIDDIKULUS. Molto facile da pronunciare e mettere in atto, ma da solo non basta! Quello che più è funzionale per sconfiggere il Molliccio sono le risate: va costretto ad assumere una forma che lo studente divertente. Si deve focalizzare nella mente una cosa buffa e quando si aprirà l’armadio e la creatura magica ne fuoriesce va puntata la bacchetta magica verso essa e pronunciato il nome dell’incantesimo. Il molliccio prende così la forma si del contenuto della paura oiù recondita ma mascherata dall’aspetto divertente a cui lo studente ha pensato, incutendo così meno paura agli occhi.
Il significato che trasmette questo incantesimo è che ci si può immaginare qualcosa che fa paura e trasformarlo in qualcosa di buffo.
Cosa succede così facendo?
Si attribuisce un altro significato alla paura: la si vede per quello che è, niente altro che una paura e, con un poco di allenamento, l’intensità di quella paura su di noi diminuirà.
Questo è ciò, che tradotto in termini ACT, succede attraverso il processo della Defusione.
La Defusione non è altro che imparare ad osservare il proprio pensare. Significa fare un passo indietro e prendere le distanze dai nostri pensieri, immagini, ricordi. Invece di rimanere intrappolati nei nostri pensieri o essere in loro balia, li lasciamo scivolare via lentamente. Si può fare un passo indietro e vedere i nostri pensieri per quello che sono, né più né meno che parole o immagini.
E come si può fare vi starete domandando essendo dei babbani e non avendo una bacchetta magica e un manuale di incantesimi?
Attraverso piccoli e veloci esercizi esperienziali che, come un incantesimo, permettono di sconfiggere il pensiero provoca disagio. Uno di essi assomiglia molto al RIDDIKULUS :(da Hayes et al. 1999) focalizziamoci su un pensiero negativo che abbiamo su noi e proviamo a pensare con tutta la nostra forza al nostro auto-giudizio negativo ripetendoci “ io sono….. (Giudizio negativo) per circa 10 secondi. Ora dentro la nostra testa, e solo dentro la nostra testa come suggerisce il professore Lupin al coraggioso studente che affronta l’esercizio davanti all’intera classe, cantiamo questo nostro pensiero su un motivetto di una canzoncina buffa o che si trova divertente e …..RIDDIKULUS! Cosa succede questa volta? è sembrato così terribile come la prima volta il pensiero? Oppure si è percepito un senso di distanziamento dal nostro pensiero?
Sfruttiamo quindi la nostra immaginazione per scappare dalle trappole che la nostra stessa mente crea.
Bibliografia:
J.K. Rowling, Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, Salani Editore,1999.
- Harris Fare ACT- Una guida pratica per professionisti all’Acceptance and Commitment Therapy ,2011, Franco Angeli Edizioni.
[1] Babbano: (Muggle nella versione inglese, No-mag nella versione americana), è una persona priva di poteri magici. Un Babbano è una persona priva di poteri magici che proviene da una famiglia priva di poteri magici, non c’è modo in cui un Babbano impari la magia: «Maghi si nasce», come dice Albus Silente.
Nei romanzi di J.K. Rowling è il termine gergale con cui gli appartenenti al mondo magico definiscono coloro che non possiedono alcun potere magico.
[2] Difesa contro le Arti Oscure: è una materia alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
[3] Professor Lupin: è un personaggio della serie di Harry Potter, creata dall’autrice britannica J. K. Rowling. È stato il professore di Difesa contro le Arti Oscure durante il terzo anno (Harry Potter e il prigioniero di Azkaban) a Hogwarts di Harry Potter.
[4] Molliccio: I Mollicci (Boggarts) sono dei Mutaforma, che assumono la forma e i poteri di ciò che spaventa di più chi li osserva. Non si conosce quindi l’aspetto di un Molliccio quando è solo, ma si sa che è facile trovarli in posti bui, come i vecchi armadi. I Mollicci temono le risate: per questo motivo l’arma più efficace contro di loro è l’incantesimo Riddikulus, che permette di far assumere al Molliccio una forma divertente. Contro un Molliccio può essere utile la compagnia, più maghi lo possono infatti confondere, in quanto il Molliccio, se si trova davanti più persone, non sa che forma assumere