A cura di: Dott. Dario Pappalardo e Dott.ssa Rita Cardelli
L’abitudine a raccogliere e ad accumulare oggetti è presente fin dalle epoche più antiche e si è spesso rivelata funzionale alla sopravvivenza, sopratutto in certi periodi storici. Ma quello che in certi casi, si è rivelato e tutt’ora si rivela un comportamento normale ed adattivo, in altri può costituire un vero e proprio disturbo. Ecco che ci chiediamo cos’è il disturbo da accumulo o disposofobia?
Proviamo a rispondere con delle semplici domande:
- Avete la tendenza a collezionare/ammassare in casa una quantità eccessiva di oggetti (di valore o di nessun valore)?
- Non riuscite a liberarvi degli oggetti indipendentemente dal loro valore? E i tentativi di liberarvene vi fanno soffrire? Magari credete che qualsiasi tipo di oggetto, anche quello totalmente privo di valore, vi possa essere utile?
- La vostra casa è talmente in disordine da non riuscire ad usare alcuni spazi?
Queste sono solo alcune delle domande a cui una persona con disturbo da accumulo risponderebbe in modo affermativo. E voi? Come rispondereste?
Nel volume “Il disturbo da accumulo”, Mancini e Perdighe riportano i contributi significativi che descrivono lo stato dell’arte in merito a tale argomento. Facendo riferimento alle attuali ricerche, gli autori mettono in evidenza come il disturbo da accumulo sia un disturbo cronico, molto più comune di quanto si pensasse in passato, con conseguenze gravi, non solo a livello individuale ma anche per la salute pubblica. In Italia, abbiamo pochi dati sulla diffusione del Disturbo da Accumulo mentre gli studi relativi agli altri paesi occidentali evidenziano che tra il 2 e il 5% della popolazione presenta un Disturbo da Accumulo, che interferisce con il normale svolgimento della propria vita (Mataix-Cols, Frost, Pertusa, et al., 2010). Difficile poter valutare l’affidabilità di tale stima vista la tendenza di queste persone a non chiedere aiuto e ad evitare di far entrare altre persone nelle proprie case a causa del disordine che tipicamente le caratterizza. Quando si parla di disturbo da accumulo, fondamentale è il ruolo della diagnosi differenziale, in quanto il comportamento di accumulo, inteso come sintomo, può essere presente anche in altri disturbi, come nel DOC, in disturbi neurologici e psichiatrici, come ad esempio la demenza, la schizofrenia, il disturbo depressivo maggiore, ed altri ancora. Una corretta diagnosi differenziale è dunque un elemento imprescindibile per un adeguato trattamento.
Nel volume “il disturbo di accumulo” di Claudia Perdighe e Francesco Mancini si evidenzia come il comportamento di accumulo, nelle sue componenti di acquisizione eccessiva, disordine, e difficoltà a buttare via oggetti, sia probabilmente governato, secondo le attuali ricerche, da tre classi di determinanti che si possono anche influenzare reciprocamente.
- Risultato di un sistema cognitivo: l’accumulo o hoarding come frutto di motivazioni squisitamente psicologiche
- Risultato di un deficit: l’accumulo o hoarding come prodotto di specifici deficit neuro cognitivi
- Risultato di un’evoluzione: l’accumulo o hoarding come comportamento evolutivamente predeterminato per preservare le risorse per la sopravvivenza
Sul piano delle determinanti cognitive, Frost e Hartl (1996) individuano 4 categorie di motivazioni psicologiche:
- Attaccamento emotivo: un tipo di attaccamento intenso di tipo affettivo che porta a provare una forte pena per gli oggetti da buttare e una colpa connessa a non dare valore a parti di sé o a persone care associate all’oggetto (“quell’oggetto rappresenta una persona amata, un ricordo, una parte di me, per cui disfarmene equivarrebbe a perdere tutto ciò”)
- Responsabilità: tendenza a vedere una speciale opportunità o utilità potenziale in ogni oggetto che, se non perseguito, induce colpa e dispiacere per gli oggetti “non utilizzati al meglio” (“non posso buttare quella cosa, non prima di aver pensato ad un valore e/o un uso per me o per qualcun altro”)
- Controllo: tendenza a voler avere un potere di previsione sull’ambiente (“meglio avere tutto sotto controllo piuttosto che colpevolizzarmi per aver perso qualcosa”)
- Memoria: motivazione legata al desiderio di preservare il tempo. Dimenticare o perdere i ricordi è vissuto come perdita di “pezzi di sé” (“è meglio che le conservi tutte, quelle foto… ognuna mi riporta là, in quel posto, a quel momento unico e irripetibile”)
Tali motivazioni si associano a una serie di emozioni spesso negative (soprattutto ansia, colpa, tristezza, pena) le quali innescano un processo di rinforzo
- Rinforzo negativo: ad es. buttare produce emozioni sgradevoli e un costo in termini di pesante perdita percepita. Il paziente tenderà quindi a ridurre tale comportamento per ridurre le conseguenze emotive e di scopo
- Rinforzo positivo: ad es il paziente continua a conservare o acquisire in quanto farlo produce esperienze piacevoli ma, diversamente da un disturbo da controllo degli impulsi, il piacere gli deriva dalle qualità intrinseche dell’oggetto e non dal piacere soggettivo sperimentato.
Tali elementi concorrerebbero nel creare un clima di vergogna, isolamento, perdita (sono ad esempio frequenti le separazioni e i divorzi nella storia di vita di questi pazienti) che aumenterebbero così l’investimento affettivo negli oggetti esacerbando il disturbo e le sue conseguenze.
È stato teorizzata anche la presenza di alcuni specifici deficit neurocognitivi nelle funzioni cognitive, di memoria e attenzione in particolare, e nelle funzioni esecutive, nell’inibizione delle risposte e nel decision-making, ma i dati in possesso sono al momento poco omogenei e richiedono ulteriori sviluppi. Inoltre è poco chiaro il nesso causale fra tali deficit e il disturbo stesso: è invece molto probabile che il forte investimento nell’accumulo e nella conservazione di oggetti e la sperimentazione di emozioni intense ed invalidanti davanti ad una effettiva separazione da loro porti la persona a performance peggiori nelle prove neuropsicologiche e ad effettivi errori nell’espletamento di compiti che in assenza di coinvolgimento emotivo non avrebbero.
Il trattamento del disturbo di accumulo coniuga il protocollo ERP (Esposition and response prevention) come nucleo centrale con altre componenti della terapia cognitivo-comportamentale quali:
- la psico-educazione sul funzionamento del disturbo
- la ristrutturazione cognitiva delle convinzioni e dei temi personali alla base del disturbo e del suo mantenimento
- interventi focalizzati all’ampliamento della motivazione al trattamento, generalmente molto bassa in questo tipo di pazienti
- tecniche di skill training finalizzate all’acquisizione di competenze specifiche di selezione, categorizzazione e organizzazione degli oggetti da tenere e da buttare.
Altri tipi di trattamento utili possono essere la CBT (cognitive Behavioural Therapy) di gruppo, la biblioterapia e il trattamento farmacologico con antidepressivi SSRI o SNRI sempre coniugati con un trattamento psicoterapico.
BIBLIOGRAFIA
FROST, R.O., HARTL, T.L. (1996), “A cognitive-behavioral model of compulsive hoarding”. In Behavior Research and Therapy, 34, pp. 341-350.
MATAIX-COLS, D., FROST, R.O., PERTUSA, A., CLARK, L.A., SAXENA, S., LECKMAN, J.F., STEIN, D.J., MATSUNAGA, H., WILHELM, S. (2010), “Hoarding disorder: A new diagnosis for DSM-V?”. In Depression and Anxiety, 27 (6), pp. 556-572.
PERDIGHE, C., MANCINI, F. (a cura di) (2015), “Il disturbo da accumulo. Milano, Raffaello Cortina.
PERTUSA, A., FROST, R.O., MATAIX-COLS, D. (2010), “When hoarding is a symptom of OCD: A case series and implications for DSM-V”. In Behavior Research and Therapy, 48, pp. 1012-1020.
STEKETEE, G. (2014), “Individual cognitive and behavioural treatment for hoarding”. In FROST, R.O., STEKETEE, G. (a cura di), The Oxford Handbook of Hoarding and Acquiring. Oxford Library of Psychology, New York, pp. 260-273.
TOLIN, D.F., BRIGIDI, B.D., ABRAMOWITZ, J.S., AMIR, N., STREET, G.P., FOA, E.B. (1999), “Memory and confidence biases in obsessive-compulsive disorder”. Articolo presentato al meeting of the Association for Advancement of Behavior Therapy, Toronto,Canada.