a cura della dott.ssa Martina Perini

Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte”: sta ad indicare la tendenza da parte di adolescenti a ritirarsi dalla vita sociale, confinandosi nella propria camera.  La giornata tipo inizia quando finisce quella degli altri; sono “animali notturni” che passano la maggior parte del loro tempo tra la tv ed il computer. Solitamente entrano nella spirale di ritiro sociale in una età compresa tra la fine degli studi e l’inizio di una carriera, quando ancora vivono in casa con i genitori.

In un primo momento ho pensato che questo fenomeno fosse in qualche modo collegato alla dipendenza da internet.

Ho avuto modo di constatare che nei luoghi pubblici come metropolitane o caffè, ogni giovane giapponese é completamente immerso nel suo mondo virtuale mediante cellulare o pc, o addirittura, nei negozi tecnologici si vedono ragazzi che indossano caschi per la realtà virtuale e guanti, strumenti che permettono di avere un effetto avvolgente ed immaginarsi altrove. Senz’altro lo sviluppo tecnologico e le innumerevoli innovazioni scientifiche proprie di questo paese tendono a stimolare un contatto virtuale anziché reale; da psicoterapeuta ad orientamento sistemico ho tuttavia provato ad indagare le cause relazionali sottostanti.

Inizialmente si pensava che il fenomeno Hikikomori fosse esclusivamente legato al Giappone: in una società altamente richiedente dal punto di vista prestazionale quale è la cultura nipponica si configura come un rifiuto ad esporsi per vergona, per paura di non riuscire a raggiungere gli standard imposti. Il sistema educativo giapponese infatti dà molta importanza alla co-operazione, ma nella realtà dei fatti gli studenti vengono posti in aspra competizione tra di loro.

Nonostante la letteratura scientifica sia ancora agli albori, si è tuttavia constatato che gli hikikomori sono presenti anche in altri paesi come Iran, Corea,… tra cui compare anche l’Italia.

La definizione Hikikomori è da attribuirsi allo psichiatra Tamaki Saito, autore di “Hikikomori: adolescenza senza fine” (1998). Secondo questo studioso il fattore determinante è giocato dalla famiglia “Nei paesi in cui la famiglia ha una grande importanza ci sono gli hikikomori. In Giappone è così e lo stesso in Corea. La pietà filiale. Forse anche in Sicilia, nella parte meridionale dell’Italia ce ne sono.”

Il dottor Saito in un’intervista di Claudia Pierdomenici sostiene che in Giappone, a differenza di Inghilterra o Stati Uniti, per i giovani restare nella casa paterna ben oltre l’adolescenza è un fenomeno del tutto normale: la pietà filiale infatti comporta che i genitori accudiscano i figli per essere da questi accuditi in vecchiaia. Il fenomeno degli Hikikomori viene assimilato ai “mammoni” italiani che continuano a vivere con i genitori ben oltre i 40 anni.

Il sistema familiare giapponese tenderebbe ad incentivare questa co-dipendenza genitori-figli, dove questi ultimi prolungherebbero lo stato adolescenziale restando in una posizione di immaturità emotiva ed economica. Hikikomori si configurerebbe quindi come una scelta di non crescere.

Nel suo libro Tamaki Saito affronta la questione se sia un disturbo mentale o un sintomo di altre condizioni psichiatriche. Senza dubbio molti Hikikomori sono affetti da schizofrenia, ansia e disturbi ossessivo compulsivi ed esiste anche un’alta comorbidità con disturbi depressivi, ma è da considerarsi una conseguenza di altre patologie.

In conclusione concordo che la tendenza a classificare mediante etichette non sia utile in questo specifico caso; resto affascinata da come ci possano essere dei paralleli tra la cultura italiana e la cultura nipponica che, a prima vista, risulta aliena per usi e costumi alla nostra.

La sfida è gettare un ponte oltre una lingua a noi completamente incomprensibile, religioni e modi di vivere sconosciuti, lontani ma anche vicini.