A cura del dott. Jonathan Lisci
Il termine “Hikikomori” letteralmente significa “Stare in disparte”, “isolarsi”. Giustappunto tale definizione, riguarda quei soggetti che ad un certo punto del loro percorso di vita, hanno preso la decisione di ritirarsi dalla realtà sociale, scegliendo di chiudersi all’interno di quattro mura. Spesso queste mura sono quelle della propria abitazione, più frequentemente quelle della camera da letto arrivando, nei casi più estremi, ad eliminare i contatti anche con i membri della propria famiglia.
Il fenomeno Hikikomori, che riguarda soprattutto adolescenti per il 90% dei casi di sesso maschile, ha fatto la sua comparsa per la prima volta in Giappone, dalla metà degli anni ottanta e ad oggi le stime sulla prevalenza del fenomeno ci dicono che, proprio in Giappone, sono circa 1 milione i soggetti coinvolti. Tuttavia, nel corso degli anni, si è potuto notare come il fenomeno, non si sia caratterizzato per una diffusione limitata al solo al contesto nipponico, bensì abbia fattoi la sua comparsa anche in altri paesi, dagli stati uniti all’Europa, dall’America latina all’Asia.
L’Italia non è rimasta esclusa da questa diffusione tanto che ad oggi si stima che nel nostro paese vi siano all’incirca 100.000 casi di hikikomori. Il crescente interesse nei confronti del fenomeno, ha favorito la nascita di associazioni ad hoc che si occupano di ricerca e supporto ai pazienti ed alle loro famiglie. Tra queste la più importante ed attiva è “Hikikomori Italia”, che da qualche anno si distingue per la costante attività di informazione e ricerca.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di Hikikomori? Molti di voi, che ne hanno già sentito parlare, forse staranno storcendo il naso di fronte al fatto che la si tratti come una patologia con una propria tipicità sintomatologia e diagnostica. In effetti, da qualche anno a questa parte, la ricerca si è concentrata su questo aspetto, cercando di individuare le peculiarità che consentano di effettuare una diagnosi differenziale con altre forme di psicopatologia caratterizzate da ritiro sociale. La questione rimane aperta anche se sempre più evidenze sperimentali sembrano far propendere i ricercatori verso una definizione dell’hikikomori come una patologia a sé.
Al netto di questo importante aspetto entriamo adesso più nel merito delle caratteristiche del disturbo. L’hikikomori si presenta come una progressiva tendenza all’isolamento da parte del ragazzo. Col procedere dei giorni i giovani hikikomori limitano i contatti sociali sino al completo isolamento che può avvenire con la reclusione nella propria abitazione oppure, evenienza particolarmente frequente, all’interno della propria camera. In letteratura si possono trovare casi di pazienti reclusi nella loro stanza da molti anni, che hanno limitato i contatti sociali esclusivamente ai membri del proprio nucleo familiare e, nei casi più gravi, neppure ad essi, provvedendo alla propria alimentazione con procedure quali il farsi lasciare, in occasioni dei pasti, il vassoio fuori dalla porta della propria stanza.
Un’altra caratteristica dell’hikikomori è legata all’utilizzo della tecnologia. In rete sono facilmente reperibili immagini delle stanze degli hikikomori, che sono costipate di dispositivi digitali (consolle, monitor di computer, computer portatili ecc..). Il tempo infatti viene prevalentemente impiegato nell’utilizzo di tali dispositivi e nella navigazione in rete. E’ importante sottolineare che l’hikikomori non deve essere confuso, come spesso erroneamente accade, con la dipendenza da videogames.
Quest’ultima osservazione ci dà la possibilità di addentrarci brevemente nello specifico di quelle che sembrano essere le cause di tale fenomeno. Tra le varie ipotesi che sono state avanzate, quella che maggiormente sembra trovare conferme nella ricerca, ma soprattutto nel vissuto dei pazienti, evidenzia come alla base dei processi di pensiero patogeni dei ragazzi hikikomori vi sia l’dea di una società eccessivamente competitiva alle cui pressanti richieste i pazienti ritengono di non essere in grado di far fronte, fino a vedere come unica soluzione possibile il ritiro da questo scenario ritenuto insopportabile. Le credenze tipiche dei ragazzi hikikomori fanno riferimento all’idea di “non essere in grado”, di “non sentirsi all’altezza”, di “non essere adeguati”, di “un mondo insostenibile”, di “un’esistenza difficile”, di “una società eccessivamente competitiva”, di fronte alla quale depongono le armi scegliendo di ritirarsi.
Ad oggi, le prove di efficacia sui protocolli di intervento sono poche e non ancora soddisfacenti. In generale si propende per un approccio integrato che comprenda sia il ricorso alla psicoterapia che alla consultazione psichiatrica, ma si sono rivelati in molti casi particolarmente efficaci anche interventi centrati sull’approccio sociale, che puntano cioè in maniera graduale al reinserimento del paziente nella rete sociale di riferimento.
Per quanto mi riguarda ritengo che l’intervento debba, con i giusti tempi ed il dovuto rispetto della volontà del paziente, contemplare tutte e tre le aree: dapprima è necessario il ricorso ad un intervento psicoterapico affiancato, dove necessario, ad un supporto farmacologico, per poi passare, senza esporre troppo precocemente il paziente allo scenario temuto incorrendo nel concreto rischio di drop-out, ad interventi orientati al reinserimento sociale.
Infine vorrei porre l’accento su una questione a mio avviso molto importante e spesso sottovalutata. Il rischio concreto, quando si è spinti dalle richieste incalzanti di genitori e parenti che premono per una rapida risoluzione del problema, che quasi sempre coincide con il rientro a scuola, la ripresa delle attività, le uscite con gli amici e la “disintossicazione” da computers e videogames, è quello di ricorrere ad interventi diretti ed autoritari tra i quali il più impiegato è il divieto repentino e inappellabile di utilizzo della tecnologia. Ovviamente queste manovre, oltre che inefficaci, rischiano di aggravare ulteriormente un quadro clinico già di per se complicato. Questo perché spesso la rete, i social network e i videogames (anch’essi generalmente social-connessi) rimangono l’ultimo baluardo verso il totale isolamento e non è raro che, soprattutto nei casi più gravi, costituiscano l’unico strumento di ingaggio per gli psicoterapeuti (questo poiché non di rado questi pazienti, non uscendo di casa, non accettano di raggiungere lo studio del terapeuta).
Come abbiamo potuto vedere in questa breve introduzione, l’hikikomori rappresenta un disturbo complesso ed ancora in fase di studio. Proprio per questo motivo gli aspetti che sono stati toccati quest’oggi, meritano specifici approfondimenti che riserveremo volentieri a futuri articoli su queste pagine.
Bibliografia essenziale
• Takahiro A. Kato et al.; Does the ‘hikikomori’ syndrome of social withdrawal exist outside
Japan? A preliminary international investigation; Social Psychiatry; june 2011.
• Roseline Kim Fong Yong, Yoshihiro Kaneko; Hikikomori, a Phenomenon of Social
Withdrawal and Isolation in Young Adults Marked by an Anomic Response to Coping
Difficulties: A Qualitative Study Exploring Individual Experience from first and second-
person perspectives; Open Journal of Preventive Medicine; January 2016.
• Ricci C.; Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione; Franco Angeli, Roma; 2017.
• Emmanuel Stip, Alexis Thibault, Alexis Beauchamp-Chatel and Steve Kisely; Internet
Addiction, Hikikomori Syndrome, and the Prodromal Phase of Psychosis; Frontiers in
Psychiatry; March 2016