A cura del Dott. Dario Pappalardo e della dott.ssa Elisa Tenucci
E’ importante per potersi rimboccare le maniche di fronte ad una storia di maltrattamenti e di violenza avere una formazione specifica ed essere sensibili a quelli che sono i diritti delle donne. E’ noto che le conseguenze a livello psicologico per chi riesce a fuoriuscire da una storia di questo tipo sono molteplici e si può andare da una sintomatologia depressiva ad un PTSD e nei casi più gravi anche a tentativi suicidari. Per questo è importante utilizzare protocolli efficaci (come la CBT o l’EMDR) che rispettano le capacità di ascolto, che non siano invasivi, che rispettino i tempi delle donne e la loro privacy nel racconto della loro storia. Ed è proprio dalla conoscenza degli effetti del protocollo EMDR sull’elaborazione di un vissuto di violenza, ampiamente discusso in letteratura, che nasce questo studio pilota per poter verificare la possibile efficacia anche di un breve protocollo basato sulla terza generazione cognitiva comportamentale, L’ACT (Acceptance and Commitment Therapy).
Alessia e Marina, due donne, due storie di violenza, due interventi psicoterapici, un risultato comune.
Marina ha 40 anni e chiede aiuto, sotto la pressione dei familiari, dopo aver subito un’aggressione fisica che la spinge a fare un accesso al pronto soccorso da parte del compagno. La tecnica EMDR si è inserita in un intervento di terapia cognitivo comportamentale complesso. La tecnica è stata utilizzata per permettere a Marina di riavvicinarsi al ricordo dell’aggressione vissuta senza avere attacchi di panico o sintomi di depersonalizzazione, cercando di elaborare quanto accaduto. L’obiettivo dell’elaborazione va in direzione di una desensibilizzazione della reattività agli stimoli emotigeni che ha sviluppato dopo l’aggressione, per permettere un successivo lavoro di ristrutturazione cognitiva e di riconsolidamento dei suoi scopi di vita. Nelle prime sedute si è consolidato il luogo sicuro scelto dalla paziente con la tecnica EMDR per darle uno strumento di radicamento, si è poi scelto un ricordo recente negativo diverso dall’episodio traumatico per valutare se la paziente potesse sostenere un lavoro di rievocazione senza incorrere in episodi di depersonalizzazione o attacchi di panico. Successivamente il nucleo dell’intervento si è incentrato sulla rievocazione dell’episodio traumatico dell’aggressione che ha visto i sintomi di Marina attenuarsi gradualmente man mano che aggiungeva particolari sul significato dell’evento per sé. Sono emersi particolari relativi alla possibilità di poter chiedere aiuto, e attribuzioni di significato personale al tipo di rapporto che si era instaurato con l’aggressore di cui non era consapevole.
Alessia ha 18 anni, e anche lei, come Marina, chiede aiuto dopo un’aggressione fisica da parte del compagno che l’ha spinta a fare un accesso al pronto soccorso. Si è deciso di porre come obiettivo iniziale la fuoriuscita dal contesto violento per una tutela sua personale e subito dopo
si è proposto un trattamento ACT che mirasse ad aumentare la flessibilità psicologica, svolto in 6 incontri. Partendo dai principali problemi riferiti quali una sostanziale difficoltà a regolare le emozioni, a gestire in modo funzionale esperienze emotive intense, instabilità dell’identità, instabilità delle relazioni con gli altri, fusione con pensieri legati al senso di indegnità e assenza di scopi da perseguire si è scelto di partire con il lavoro sulla defusione. Questo primo contatto con quella parte del sé che nota ha favorito un cambio di prospettiva di Alessia rispetto ai suoi pensieri negativi. E’ stato poi introdotto il lavoro sull’accettazione allenando Alessia a fare spazio alle sensazioni sgradevoli invece che lottarci con tutta se stessa. Si è cercato dopo di favorire il rapporto con il sé come contesto e il contatto con il momento presente per lavorare sulla consapevolezza dei suoi atteggiamenti impulsivi e focalizzarsi su ciò che stava provando. Per favorire la connessione con i propri valori e promuovere azioni impegnate, è stato tradotto in azioni il desiderio di dedicarsi alla sua crescita personale e professionale (es. impegnarsi a leggere il libro per prepararsi all’esame), di stare più tempo con la famiglia (es. cenare più volte a casa), di coltivare le amicizie significative (es. non stare con persone che la fanno stare male), di impegnarsi nella cura di sé (es. farsi crescere i capelli e curare il suo abbigliamento).
Queste conclusioni di un quadro sicuramente positivo rispetto all’inizio fornisce l’input per poter pensare di costruire uno studio su un campione più ampio per valutare la possibilità di generalizzare i risultati ottenuti e di poter creare un protocollo ACT e uno EMDR per poter trattare le donne vittime violenza e riconsegnare loro la possibilità di ricostruirsi.
Bibliografia:
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