a cura del Dott. Dario Pappalardo

Venerdì 17 Febbraio presso il palazzo della Provincia di Grosseto si è tenuto il convegno “Comprendere e curare la Mente Ossessiva”, organizzato dalla scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva, che ha visto la partecipazione di quasi tutti gli autori della recente fatica letteraria di divulgazione tecnico-scientifica “La mente ossessiva”, edito da Raffaello Cortina Editore nel 2016.

Fra questi scegliamo di concentrarci sull’intervento del dott. Marco Saettoni, che con il suo intervento “Terapia cognitivo comportamentale e farmacologica del DOC: come integrare?” si concentra sulle implicazioni e sull’utilità di una integrazione fra i due approcci terapeutici nello specifico caso del disturbo ossessivo compulsivo e a tal proposito si pone delle domande:

– quando si usano i farmaci, in caso di DOC?

– quali farmaci vanno usati secondo i criteri EBM (evidence-based medecine)

– cosa possono aspettarsi pazienti e terapeuti dai farmaci?

– quanto deve durare la terapia farmacologica?

– quali sono i dati relativi all’associazione (non si può ancora parlare di integrazione) con CBT (Cognitive Behavioural Therapy)?

 Ci limitiamo a riportare alcuni suoi spunti in un rapido elenco:

  • Linee guida generali: c’è un piccola differenza di approccio fra le linee guida dell’ APA (American Psychiatric Association) e dell’inglese NICE (National Institute for health and Care Excellence). La prima indica come terapie d’elezione la CBT e i farmaci SSRI (Selective Serotonin Reuptake Inibitor) senza specificare. La seconda indica che gli SSRI sono terapia di prima linea in integrazione con la CBT solo per i casi di media e grave intensità mentre per gli altri casi è consigliata la sola CBT. I farmaci SSRI vanno ad influenzare il sistema serotoninergico.
  • Durata terapia farmacologica: se la terapia fa effetto conviene portarla avanti, nonostante gli effetti collaterali (vedi dopo), che comunque sono dose-dipendenti, ovvero si riducono alla riduzione della terapia farmacologica. Diversamente dal trattamento per la depressione la fase di latenza è maggiore nei pazienti DOC, ovvero ci vuole più tempo per apprezzare dei risultati (e per dissuadere dal drop-out). Saettoni nota, come semplice dato di osservazione clinica, che se un paziente riutilizza un farmaco che in precedenza ha funzionato, questo tende a creare resistenza di effetto, diversamente da come succede per altri disturbi, come ad esempio la depressione.
  • Effetti terapeutici: riduzione della spinta a mettere in atto la compulsione, riduzione di emozioni e sentimenti di colpa e vergogna con ricaduta sulla ruminazione ossessiva, indipendente dalla riduzione degli stati depressivi, ovvero si apprezza un effetto mirato sui primi non correlato ai secondi. Purtroppo i pazienti che non rispondono al trattamento con SSRI si attestano fra il 40% e il 60%
  • Effetti collaterali: riduzione delle emozioni positive consistenti in una persistente sensazione di “ovattamento” o di sentirsi scivolare tutto addosso. Indubbiamente riduce la Qualità di Vita ma è comunque dose-dipendente, quindi reversibile. Altri problemi dipendono dal tipo di farmaco utilizzato. Per fare un esempio, la Fluvoxamina, erroneamente considerata più efficace di altri SSRI per il trattamento del DOC, ma in realtà equivalente, ha effetti collaterali quali inibizione dell’orgasmo e, in caso di trattamento a lungo termine, osteoporosi e minore trasmissione noradrenergica, con sintomi ad esso associati.
  • Scelta dei farmaci: per prassi medica si parte con SSRI; se non c’è risposta si inserisce un antipsicotico atipico a basso dosaggio a favore dell’attivazione di una funzione glutammatergica. Saettoni indica, come antipsicotici più adatti per il DOC, Aripripazolo, risperidone, e in particolare Aloperidolo. Dopo indica la possibilità di aggiungere Memantina, Riluzolo, Topiramato e Lamotrigina, i quali vanno ad agire anche su altri sistemi. Sconsiglia di andare oltre la prescrizione di 3 farmaci nelle fasi di terapia e di mantenimento.
  • Note di colore e cenni su correlati neurofisiologici: in ricerca si è visto che l’assunzione di escitalopram e mirtazapina, portava a ricordare più facilmente aggettivi positivi, a riconoscere le emoticon felici come tali, e a ridurre la percezione generalizzata di minaccia. Alla risonanza magnetica funzionale si ravvisa una minor irrorazione sanguigna dell’insula e dell’amigdala.