a cura della Dott.ssa Chiara Del Nero
“Eredi di un’epoca che ha creduto per lungo tempo nella possibilità di porre fine, un giorno, a ogni conflitto, per questa stessa ragione oggi temiamo profondamente tutto ciò che minaccia le nostre vite e le nostre società. Abbiamo l’impressione, ben nota ai marinai, di navigare con carte oramai inservibili. Pensavamo di procedere a grandi passi verso territori pacifici, ed eccoci di fronte a un ritorno di conflittualità, vistoso tanto a livello individuale quanto sociale.” – Elogio del conflitto
Nell’arco di pochi mesi, la cinematografia internazionale propone due pellicole pluripremiate trattanti il medesimo argomento – omosessualità e repressione sociale – da una duplice prospettiva: quella di una ragazza in “La diseducazione di Cameron Post” e quella di un ragazzo in “Boy Erased, Vite cancellate”.
Una scelta rilevante dal momento che sembrano tornati attuali il timore del diverso ed il bisogno di reprimere ciò che crea sfumature, alternative e disordinerispetto alla dicotomia tra due posizioni opposte: giusto o sbagliato; bene o male; bianco o nero; sano o malato; sacro o profano e così via.
Nell’epoca dell’annullamento delle frontiere – con la globalizzazione, internet e i social network – irrompe l’intolleranza a qualsiasi forma di diversità ed il bisogno di confinarsi dentro una confortevole quanto effimera barricata interiore dove identificare ed escludere l’anomalo, il caotico, il potenzialmente pericoloso.
“La nostra è l’epoca della diffidenza” (Miguel Benasayag ed Angelique del Rey).
Secondo quale logica e chi, soprattutto, ha le competenze per etichettare e condannare la condizione umana, eterogenea per definizione? Perché questo impellente bisogno di una dimensione giusta se siamo tutti terrestri in quanto appartenenti alla Terra o se la famiglia può essere una moltitudine di possibilità così come la sessualità? E lo dimostra il resto del mondo animale: le famiglie delle api o delle formiche oppure l’omosessualità tra i pinguini, i leoni o i tursiopi, per esempio.
La società moderna sembrerebbe invece prediligere una individualità uniforme, capace di accettare la condizione imposte senza insorgere né seguire le proprie attitudini; un individuo fiducioso nei poteri superiori che definiscono il giusto e lo sbagliato provvisorio. Pena la repressione e l’esclusione sociale.
La nostra epoca pare avere la curiosa convinzione che l’identità sia circoscrivibile nel passaporto – età, nazionalità, cittadinanza, professione, stato civile, segni particolari, impronte digitali – senza tener conto della complessità interiore, il vero tratto distintivo fatto di storie personali, gusti e disgusti, timori e predisposizioni.
L’identità è il nocciolo della questione dei due film. Identità che, negli anni che precedono la vita adulta, prende forma nella sua declinazione principale, quella di genere e che, spesso, trova a scontrarsi con le aspettative della famiglia, della religione o della società di appartenenza.
Ed ecco che le prime esperienze sessuali col turbinio di emozioni contrastanti che già ne deriverebbe, sia in Cameron che il Jared protagonisti dei film, lottano col senso di colpa, con la vergogna e la tristezza di non essere amati incondizionatamente dai propri cari ed, in più, allontanati per essere sottoposti a programmi di rieducazione.
Chi sono? E chi dovrei essere per continuare a mantenere vicinanza ed amore familiare?, sono domande che affollano la mente dei due ragazzi che accettano di percorrere il cammino della conversione nel tentativo di non perdere l’amore dei genitori e l’accoglienza nella comunità di appartenenza.
Jared, giovane collegiale ed incapacità di mettere in discussione l’autorità e le credenze del padre Marshall Eamons pastore battista e possessore di una concessionaria e della madre Nancy), decide di fare quello che loro gli chiedono: CAMBIARE orientamento sessuale.
Allo stesso modo l’adolescente Cameron, orfana e affidata alla zia, una volta scoperta ad una festa a baciare una ragazza, viene incoraggiata a cambiare per amore dei propri genitori morti “Che cosa penserebbero i tuoi genitori se fossero qui?”
Per tornare normali, Jared partecipa ad un corso organizzato dalla Chiesa dove subisce, insieme ai suoi compagni di classe, violenze soprattutto psicologiche per mano di persone scarsamente qualificate. Ciononostante il ragazzo cercherà di fare tutto ciò che gli è possibile per riuscire nell’impresa.
Quando è oramai vicino a toccare il fondo, intuisce che ad essere sbagliato non è il suo essere omosessuale quanto, piuttosto, il sistema di riferimento, il metro di valutazione con cui tendono a giudicarlo e la terapia di conversione a cui, per amore dei suoi, sceglie di sottoporsi.
Cameron invece conoscerà una realtà più laica rispetto alla comunità di Jared ma non meno intransigente, gestita da professionisti anch’essi poco esperti, spinti alla conversione propria ed altrui più per convinzioni personali che per teorie riconosciute.
Non sono film di fantascienza ma tratti da storie vere; “Boy Erased” è tratto dall’autobiografia di Garrard Conley, sottoposto dai suoi familiari ad una terapia di conversione dai metodi brutali, “Love in action”, per guarire dall’omosessualità. In America, allo stato attuale la “conversion therapy” è ancora consentita in trentasei stati e, finora, sembra abbia toccato oltre settecentomila persone.
“Sono stufa di provare disgusto verso me stessa!”, sbotterà ad un certo punto Cameron.
“Io non cambio. Non ho niente da cambiare” riuscirà a dire Jared guardando il padre dritto negli occhi dopo un lungo percorso di accettazione personale in cui prenderà consapevolezza che essere omosessuali non è un crimine né un vizio di mente né un peccato di cui vergognarsi ma un semplicissimo fenomeno naturale.