A cura della Dott.ssa Francesca Davini e della Dott.ssa Sara Tognocchi.

Già lo psicologo russo Lev. S. Vygotskij appartenente alla corrente storico-culturale aveva sostenuto l’importanza delle relazioni che gli esseri umani instaurano con gli altri e come esse possono svolgere un ruolo fondamentale anche nella costruzione della propria identità personale, affermando addirittura che “Attraverso gli altri diventiamo noi stessi”.
Tutti noi abbiamo bisogno del contatto con le altre persone, ricerchiamo sia aspetti che ci differenziano da loro sia che ci fanno sentire somiglianti e simili. Tutti noi cerchiamo il contatto sia per la novità che per garantirci un certo grado di continuità affettiva, di fiducia reciproca al fine di creare rapporti basati sull’assicurarci stabilità, ma anche amicalità.
La nozione di bisogno è strettamente correlata a quella di scopo, quale elemento cardine della terapia cognitiva ed inteso come rappresentazione finalizzata del mondo che deriva dal bisogno stesso dell’individuo. Più semplicemente, lo scopo delinea ciò che per noi è importante e dunque è chiaro come ciascuno abbia degli scopi desiderati da perseguire e non compromettere. In questa prospettiva dunque, i bisogni sono rappresentati come necessari per gli scopi di cui sono mezzi e visti come indispensabili per realizzare gli scopi stessi: tra questi è importante considerare anche il bisogno di vicinanza e di appartenenza che ci lega agli altri (Castelfranchi et al 2002).
Il bisogno di appartenenza è una componente fondamentale del più ampio bisogno di socializzazione dell’uomo. Di questo bisogno la componente che ci rappresenta di più è l’apertura verso gli altri e quindi la costruzione di legami. Tuttavia la socializzazione è caratterizzata anche da un bisogno più emotivo, inteso come il bisogno di sicurezza e cura, di prevedere e comprendere i comportamenti, i desideri e le intenzioni altrui.
Una definizione chiara ed esaustiva di Motivazione, Bisogni e Personalità ci è stata fornita da un grande maestro della psicologia: Abraham Maslow (1943), il quale descrisse quella che ancora oggi è conosciuta come la Piramide dei Bisogni.
Maslow afferma che è strutturale negli esseri umani il bisogno di essere amati, di essere parte di un gruppo. Generalmente la tendenza degli esseri umani al bisogno di affiliazione fa si che noi cerchiamo la compagnia degli altri per attenuare sentimenti di ansia e di paura, ma anche per comunicare, impiegare il tempo, sfuggire alla noia o divertirsi.
Nonostante dunque la natura sociale dell’uomo e la sua necessità di stabilire e mantenere relazioni interpersonali positive, l’attuale periodo storico ha messo a dura prova ogni forma di amore e relazione, dalla convivenza forzata all’impossibilità di viverle liberamente, ponendo un forte limite nella possibilità non solo di coltivare i legami affettivi già presenti e stabili, ma anche di instaurarne di nuovi. La nostra socialità è pertanto andata incontro ad un cambiamento importante: tutti noi, così come le nostre relazioni interpersonali, in modo più o meno marcato, abbiamo sofferto le misure di confinamento e di distanziamento sociale, le restrizioni della libertà personale e la scelta autoimposta e/o imposta di isolamento per evitare il contagio. Ci è stato infatti chiesto di passare da una modalità relazionale caratterizzata da vicinanza fisica, in quanto una parte del nostro sentire si esprime con il corpo, ad una in cui questa è vietata o comunque rischiosa. Pertanto, la vicinanza ed il contatto sociale e fisico, che più frequentemente si palesa in un abbraccio, sono stati subordinati all’emergenza in atto, conditio alimentata dal timore, dal sospetto, nonché dalla preoccupazione per il prossimo futuro.
E, sebbene gli individui, come già affermato, abbiano bisogno di cooperare, aiutarsi tra loro e vivere in gruppo, l’isolamento ed il distanziamento sociale sono ora le strategie più efficaci per proteggere se stessi, i propri cari e più in generale la collettività, pur determinando al tempo stesso importanti ricadute a livello psicologico: in particolare, sembrano indebolire il nostro sistema immunitario, favorire lo stress e la solitudine percepita (loneliness). Quest’ultima, intesa nei termini di “sentirsi soli”, è stata riconosciuta come un fattore di rischio per l’insorgenza non solo di disturbi del sonno (Cacioppo et al., 2002), ma anche di una sintomatologia depressiva e ansiosa, di comportamenti aggressivi ed impulsivi (Siracusano, 2017).

Come fare allora per conciliare la necessità di mantenere la distanza dall’altro ed il bisogno di stabilire con esso un legame profondo? Come esprimere il proprio affetto o entrare in relazione essendo la comunicazione non verbale, che trova espressione non solo nel tono e nel ritmo di voce, ma anche nella gestione dello spazio e nei movimenti del volto, in parte minata dall’uso della mascherina e dagli obblighi imposti? E soprattutto, come vivere questa nuova dimensione di solitudine?
Quest’ultima viene comunemente associata ad una sensazione spiacevole di separazione e distacco, fonte di un malessere che l’individuo vive in seguito alla frustrazione del proprio bisogno di affiliazione ed intimità, assumendo in prevalenza un significato negativo; al tempo stesso però, la solitudine può divenire uno spazio positivo di crescita personale in cui, a discapito delle richieste ambientali e dei ritmi quotidiani incalzanti, si è chiamati a privilegiare se stessi, insieme alle proprie emozioni e ai propri pensieri. In quest’ottica, lo stare soli può quindi costituire un’occasione di auto-esplorazione e riflessione, di focalizzazione dei propri obiettivi e valorizzazione delle risorse e potenzialità individuali, configurandosi come una dimensione associata al benessere, che apre inoltre la strada alla calma, alla creatività e a tutto ciò che per ciascuno è piacevole.
Prestiamoci ascolto e proviamo a cambiare prospettiva: volgiamo lo sguardo su ciò che proviamo e su ciò che attraversa la nostra mente, poiché è proprio su questi elementi che possiamo agire al fine di modificare il nostro modo di affrontare ogni situazione che ci apprestiamo a vivere. A tal proposito, insieme alla capacità di riconoscere le emozioni esperite e dunque alla consapevolezza delle stesse, significativa è l’abilità di regolarle, meglio conosciuta come regolazione emotiva, che riflette l’uso di strategie cognitive e comportamentali che ci permettono di gestire la nostra esperienza emozionale. Una di queste è proprio l’accettazione incondizionata e non giudicante dell’emozione negativa che proviamo in un determinato momento.
In conclusione, dunque, la solitudine possiamo coglierla come condizione di crescita psicologica e personale, che apre la strada ad una maggiore conoscenza di se stessi e delle proprie emozioni, che ci consente di migliorare conseguentemente i nostri affetti e le nostre dinamiche interpersonali, ed instaurare relazioni stabili, significative e profonde.
Da una limitazione e da un cambiamento, come quelli di cui stiamo facendo esperienza, può quindi nascere un’opportunità… spetta a noi riuscire a coglierla.

Bibliografia

Maslow A. (1954). Motivation and Personality. New York: Harper.

Maslow A. (1943). A Theory of Human Motivation. Psychological Review.

Costantini B. (2020) La solitudine ai tempi del Covid-19 Riscoprire le relazioni interpersonali e la solitudine nella società iperconnessa.

Siracusano, A. (2017). Loneliness: a new psychopathological dimension?.

Lev S. Vygotskij, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, 1960 (tr. it. 1974).
Castelfranchi C, Mancini F, Miceli M (2002). Fondamenti di cognitivismo clinico. Bollati Boringhieri. Torino