a cura della Dott.ssa Martina Perini

Il tema dello svincolo in psicoterapia familiare è stato ampiamente studiato ed è un concetto chiave per la lettura di molti casi clinici. In questo breve articolo non intendo esaurire l’argomento perché poche righe non sarebbero sufficienti nemmeno per fare una introduzione, ma vorrei solo stimolare la curiosità, anche dei non addetti ai lavori, verso questo concetto che può esser chiarificatore di molte situazioni.

Possiamo pensare alla famiglia come un grande organismo che nasce, si evolve, muore e quindi continuamente cambia; la vita dell’organismo famiglia è scandita da eventi specifici (sia positivi che negativi: nascite, trasferimenti, adozioni, matrimoni, morti, malattie…) che sempre minano l’equilibrio vigente al momento e stimolano verso una riorganizzazione flessibile, in linea con le mutate situazioni. La cosa più incredibile è che la capacità di far fronte in modo costruttivo a queste transizioni non riguarda solo quell’organismo famiglia, ma indirettamente subisce l’influenza delle generazioni precedenti. Lealtà invisibili, impalpabili.

Che cosa si intende per svincolo dalla famiglia di origine?

E’il passaggio fisiologico dalla famiglia al mondo esterno, l’apertura del soggetto a realtà ed investimenti affettivi nuovi che rendono possibile la differenziazione e la definizione di una propria identità. Solitamente si tratta di un processo che si attua nella adolescenza, durante la “fase del trampolino” (F. Walsh, 1993) quando il soggetto insieme alla famiglia riesce a negoziare bisogni di crescente autonomia con il mantenimento dei legami significativi.

Talvolta però può accadere che questa fase si arresti e il giovane può rimanere invischiato in dinamiche simbiotiche, impedendo così il passaggio alla fase successiva. Il processo armonico di riorganizzazione ed evoluzione si blocca e possono emergere sintomi nel/nella ragazzo/a come attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare, dipendenze,… .

Un mito diffuso in psicoterapia è il cosiddetto “cut off”, il taglio emotivo (M. Bowen, 1978): per potersi emancipare dalla famiglia di origine, soprattutto nei casi in cui questa mostra un’organizzazione disfunzionale, occorre un taglio netto, cioè un distacco fisico ed emotivo del soggetto. Ma questa teoria non regge: sradicare un individuo che non ha ancora ultimato il suo processo di individuazione è come negare il bisogno di appartenenza ad un sistema che lo ha cresciuto ed ha contribuito a caratterizzare la sua unicità. Anzi, connotare negativamente la famiglia di origine come causa primaria di sofferenza e malessere nel soggetto altro non fa che legarlo maggiormente a questa, vuoi per l’intensità del rancore, vuoi per la potenza intrinseca del vincolo di fedeltà e lealtà.

Quindi la separazione è una “impresa evolutiva congiunta” che vede coinvolti genitori e figli (E. Scabini, 1995). Senz’altro è un cambiamento che fa paura perché rompe un equilibrio preesistente che dava una sicurezza di stabilità; ma, come afferma L. Onnis (2004),  il tempo sospeso, o comunque blocchi nella crescita ed evoluzione del sistema, rendono gli individui prigionieri di una “trama affettiva che invischia, trattiene. Lega e sospende, in un tempo che sembra fermo”.

Il compito dei genitori è da un lato favorire lo svincolo del figlio adolescente e dall’altro rassicurarlo che qualora avesse bisogno loro ci saranno, fungendo così da base sicura. Infatti il ragazzo è combattuto tra il bisogno di dipendenza dai genitori e quello di autonomia, sperimentandosi in contesti e ruoli differenti.

Allo stesso tempo è chiamato a realizzare un progetto professionale ed affettivo autonomo e stabile, assumendosi nuove responsabilità; dal canto loro i genitori devono autorizzare e sostenere questa assunzione di piene responsabilità adulte. E. Scabini parla di “protezione flessibile” e “spinta emancipativa” dei genitori. Più si protrae questa fase adolescenziale più sarà minata l’autostima del giovane che fatica nel trovare e definire una sua identità.

Anticamente il passaggio dall’infanzia all’età adulta era visto in termini di rito di iniziazione, mentre oggi questo tempo si sta dilatando e trasformando in una transizione troppo lenta. In epoche non lontane per esempio il servizio di leva obbligatorio, l’esame di maturità ed il matrimonio erano dei momenti cruciali di crisi e cambiamento che separavano nettamente l’entrata nella vita adulta. Senz’altro potevano essere passaggi scioccanti a cui non tutti erano preparati, ma davano al giovane dei punti di riferimento, dei confini entro cui potersi muovere.

Concludo questa riflessione con le parole dell’antropologo M. Aime e dello studioso dell’adolescenza G. Pietropolli Charmet: “è quanto mai necessario che la comunità da un lato stabilisca in modo chiaro il confine tra il mondo dei giovani e quello degli adulti e che dall’altro ne “protegga il passaggio, collocando segnali, punti di riferimento ben visibili”.

                                                                                                                                                  

BIBLIOGRAFIA

Aime M., Pietropolli Charmet G., La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio, Einaudi, Torino 2014.

Bowen M., Toward the Differentiation of Self in One’s Family of Origin; tr. it. Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare, Astrolabio, Roma 1979.

Boszormenyi-Nagy I., Spark G.M., Invisible Loyalties. Reciprocity In Intergenerational Family Therapy, Harper and Row, N.Y. 1973; tr. it. Lealtà invisibili. La reciprocità nella terapia familiare intergenerazionale, Astrolabio Editore, Roma 1988.

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Onnis L., Il tempo sospeso. Anoressia e bulimia tra individuo, famiglia e società, FrancoAngeli, Milano 2004.

Pietropolli Charmet G., I nuovi Adolescenti, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.

Scabini E., L’organizzazione famiglia tra crisi e sviluppo, FrancoAngeli, Milano 1985.

Walsh F., Stili di funzionamento familiare: come le famiglie affrontano gli eventi della vita, FrancoAngeli, Milano 1986.