a cura della Dott.ssa Laarticolo-lavivinia Lombardi

Il padre si rivolge a Rebecca, la sua primogenita: “Tu parti sempre con il piede sbagliato, io ti ascolto, ma non puoi parlarmi così, è ovvio che devi parlare con rispetto e poi ci sono delle cose che non si fanno e basta, c’è poco da discutere”.

Rebecca al suo psicoterapeuta:  “Ecco vedi, io sono stanca, non mi ascoltano, appena inizio a parlare mi interrompono per dirmi  che non devo rivolgermi così, ma il problema è un altro, loro non mi ascoltano, io sono un essere vivente come loro e voglio essere ascoltata; se non sono ascoltata non ascolto”.

Quante volte un genitore si sente frustrato o impotente perché non riesce a comunicare con il proprio figlio? Accade frequentemente che di fronte un genitore che si senta frustrato ci siano dei figli che si sentano danneggiati e invalidati.

Non è affatto facile gestire la comunicazione genitori-figli senza incorrere in litigi nonostante sia molto raro che l’intenzione di un genitore sia quella di provocare reazioni oppositive o aggressive.

Ci sono sicuramente dei metodi inefficaci di gestire un confronto verbale e riguardano due tipologie di messaggi:  messaggi risolutivi e messaggi di disapprovazione.

I messaggi risolutivi, nonostante possano sembrare molto utili ed efficaci, non sempre vengono accolti in modo  benevolo. Basti pensare ad un episodio in cui avete avuto intenzione di compiere un gesto premuroso verso qualcuno, oppure quando state già modificando il vostro comportamento per compiacere l’altro,  ed improvvisamente questa persona vi esorta o vi ordina di compiere esattamente ciò che avevate deciso per conto vostro. Se vi è capitato ciò, probabilmente vi sarete sentiti fortemente irritati.

Ecco i vari modi in cui possiamo inviare messaggi risolutivi:

  1. Dare ordini, dirigere, comandare: “rimetti a posto questo disordine! Togli i piedi dalla sedia!”;
  2. Avvertire, ammonire, minacciare: “se non la smetti ti metto in punizione!”;
  3. Esortare, fare la predica, fare la morale: “non interrompere mai quando una persona sta facendo un’altra cosa”;
  4. Consigliare, offrire suggerimenti o soluzioni: “perché non vai fuori a giocare?”.

Questi tipi di messaggi comunicano a vostro figlio la vostra soluzione inoltre dispone la relazione in modo verticale: siete voi il capo, tutto è sotto il vostro controllo e agli altri tocca eseguire l’ordine.

Un altro problema di questo tipo di messaggi  è che molto spesso non si tiene conto che queste sono le soluzioni per un problema dell’adulto  e non del bambino. Ad esempio dire al bambino: “non interrompere mai quando qualcuno sta facendo qualcosa”, è un bisogno dell’adulto, il quale non tiene conto dello stato mentale del bambino che richiede la sua attenzione in quel momento. Quindi l’adulto ordina, ammonisce e fa la predica, per difendere un proprio bisogno e fornisce, per giunta, una soluzione al problema. Ciò potrebbe avere i seguenti effetti:

  • Il figlio oppone resistenza in quanto non vede il problema, non condivide la soluzione o comunque si oppone quando ci limitiamo a dire loro come si devono o dovrebbero
  • Fornendo la soluzione al proprio figlio si comunica sfiducia rispetto alle sue capacità di trovare la soluzione ad un bisogno dell’adulto.
  • Inviandogli una soluzione comunichiamo anche che i nostri bisogni sono più importanti dei suoi e che debba obbedirvi nonostante lui ne abbia degli altri.

Provate ora a chiedervi: utilizzereste mai tali messaggi risolutivi  con i vostri amici? Molto probabilmente la vostra risposta è: “no!”, in quanto saremmo più attenti a rispettare i sentimenti altrui. Quindi, una frase che verso il figlio suona : “togli i piedi dalla sedia!”, detta ad un amico si trasformerebbe in: “temo che se poggi i piedi li, si possa rovinare la mia sedia”. Quest’ultima frase non invia una soluzione, non esorta e non minaccia, ma fa comprendere un timore (o il bisogno di avere una sedia nuova). Se si scelgono messaggi risolutivi, non ci si può meravigliare delle risposte difensive e ostili dei figli.

La seconda categoria di messaggi è caratterizzata da disapprovazione. Tutti noi sappiamo quanto sia sgradevole e mortificante essere accusati, giudicati, ridicolizzati, criticati e umiliati eppure nel ruolo di genitori si inviano messaggi disapprovanti come:

  1. giudicare, criticare e rimproverare: “sei egoista, sei sempre tu a rovinare il clima in casa!”;
  2. prendere in giro, ridicolizzare, umiliare: “sei solo un viziato, dovresti vergognarti!”;
  3. interpretare, diagnosticare: “stai solo cercando di attirare la mia attenzione, voglio solo vedere fino a che punto vuoi arrivare prima che mi imbestialisca!”;
  4. montare in cattedra, ammaestrare: “i bambini educati non si comportano così, perché non provi ad essere come tua sorella ogni tanto?”.

Questi messaggi hanno effetti devastanti, i figli possono sentirsi colpevoli, inadeguati, non amati oppure percepiscono un’ ingiustizia  e possono reagire con rabbia, in ogni caso non sono utili per la sua autostima.

Quando comunichiamo con nostro figlio è molto utile capire di chi sia il problema (del genitore o del figlio). Quando il comportamento di un figlio è inaccettabile per il genitore, interferisce in modo tangibile con ciò che gli procura gioia o con il diritto di soddisfare i propri bisogni per cui è il genitore ad essere agitato infastidito e  oppresso e per far capire cosa prova, deve scegliere il codice adatto al proprio bambino (Gordon T. 1970). Sarebbe molto più efficace sostituire messaggi in seconda  persona a messaggi in prima persona:

Metti subito a posto (messaggio in seconda persona)

sono molto stanco e non riesco a mettere a posto tutto questo disordine (messaggio in prima persona)

Questi messaggi sono molto chiari e fanno comprendere il proprio bisogno senza ledere i bisogni dell’altro.

Tratto da: “Genitori efficaci” di Thomas Gordon (1970).