A cura del dott Dario Pappalardo

Il palazzo della provincia di Grosseto, dopo il convegno sulla Mente Ossessiva del team APC SPC, ha ospitato un’altra grande giornata di divulgazione scientifica, magistralmente animata, questa volta, da Antonio Semerari e da Livia Colle.
La prolusione mattutina di Semerari ha integralmente reso lo spirito della nuova fatica collettanea del gruppo clinico e di ricerca del Terzocentro “Curare i Casi Complessi: la Terapia Metacognitiva Interpersonale dei Disturbi di Personalità” a cura di Giuseppe Nicolò, Antonino Carcione e dello stesso Semerari, Editore Laterza.
Come da prima parte del libro, dopo un’esposizione di due casi emblema della complessità diagnostica, il relatore si è subito concentrato sulla critica del doppio sistema di classificazione introdotto nel DSM-5, attaccando sia la rediviva classificazione categoriale, sia il timido ma farraginoso approccio dimensionale basato sulla valutazione di 5 domini a loro volta suddivisi in altri 28 sottodomini o trait-facet, e argomentando che entrambi i sistemi risultano inutilizzabili, in quanto non rispondono alle esigenze cliniche di dare senso e significato d’insieme alla manifestazione dei quadri clinici nei Disturbi di Personalità (DP).

Il tutto viene sintetizzato nella breve sentenza “le categorie non distinguono. Le dimensioni non descrivono”, e nel frattempo la comorbidità nei disturbi di personalità raggiunge il 60%, percentuale sufficiente a mettere in crisi il diagnosta ma soprattutto il terapeuta, nel momento della redazione di una strategia e di obiettivi terapeutici. L’autore osserva, infatti, come una percentuale talmente elevata sia il segno di una crisi ormai cronica del modello kraepeliniano, fondato sul principio cardine di diagnosi differenziale, quando applicato ai DP.
La parte che Semerari ha invece apprezzato della nuova nosografia, in qualche modo in linea con l’approccio metacognitivo, è stato il primo step di valutazione dimensionale, ovvero la Scala dei Livelli di Funzionamento della Personalità, la quale prevede una valutazione lungo un continuum di gravità di due funzioni fondamentali quali quello del Sé e quello interpersonale, il primo suddiviso in identità e autodirezionalità, il secondo in empatia e intimità.

Ha fatto seguito a questa parte introduttiva il cuore della teoria metacognitiva, ovvero l’indagine delle funzioni soggiacenti la metacognizione, alcuni dei quali esemplarmente resi con un parallelismo sulla situazione mentale corrente degli ospiti del convegno:

  • Monitoraggio: “immaginate di avere un occhio nella mente che guarda i vostri stati mentali nel Qui e Ora, questo occhio vi permetterà di capire se vi state annoiando in questo momento davanti a questa presentazione, come se vi faceste un ABC (NdA: tecnica di osservazione e valutazione di stati mentali Hic et Nunc; Ellis, 1957; Beck, 1975) Un disturbo del monitoraggio vi impedirebbe di essere coscienti di quello che sentite e di quello che pensate in questo momento. L’impressione che ne deriva è quella di un paziente opaco, incapace di capire che gli succede dentro”
  • Integrazione: “immaginate che quest’occhio monitorante esca dalla mente ed inizi a riflettere sugli stati mentali individuati, ad esempio quelli sulla noia provata davanti ai miei discorsi. Comincerete ed integrare le informazioni in funzione dei vostri scopi attuali, della rilettura di esperienze passate e degli obiettivi futuri, e deciderete di continuare ad approfondire certe tematiche. Questa funzione è cruciale per il senso d’identità, infatti, il paziente con un disturbo di integrazione risulta confuso e incoerente. Non so cosa gli piace né cosa vuole fare”.
  • Differenziazione: “il medesimo occhio deve tenere conto del mondo esterno e con esso confrontarsi, operando due processi: 1) distinguere tra fantasia e realtà, cioé capire  2) sviluppare una distanza critica dalle proprie credenze ammettendo che esse possono rivelarsi false.” A titolo di esempio Semerari porta l’opera di René Magritte “Ceci n’est pas une pipe”, nel quale è rappresentata una pipa. Una visione non differenziata porterebbe a pensare che quella sia una pipa, mentre in realtà si tratta della mera rappresentazione di essa. La differenza è sottile ma evidente. Un paziente con disturbo di differenziazione è distaccato, assorto nei suoi pensieri, con manifestazioni emotive e comportamentali incongrue alla situazione del momento.
  • Decentramento: “non siamo soli ma immersi in un mondo pieno di persone con proprie rappresentazioni e metacognizione, pertanto è cruciale cercare di capire cosa possano pensare gli altri, banalmente per non rispondere in maniera totalmente incongrua (e.g: con una randellata sui denti a chi ci guarda da un altro tavolo), e meno banalmente per istituire quelli che sono rapporti di fiducia in qualsiasi contesto. la patologia di questo filone è il pensiero teleologico (Bateman & Fonagy,2004), col quale all’altro viene attribuita un’intenzione esclusivamente sulla base dell’effetto che il suo comportamento ha provocato: ‘mi sento arrabbiato dopo che mi hai guardato per un secondo? allora significa che hai intenzioni malevole'”.

Semerari procede mostrando dialoghi clinici contenenti esempi molto chiari dei concetti espressi. Parla inoltre della Mastery e dei suoi tre livelli di strategie, e diffusamente del concetto di rovesciamento dei ruoli o Reverse in situazione clinica, quando ad esempio un paziente narcisista ci fa sentire piccoli e disprezzati con parole e gesti di sdegno, allo stesso modo di come si sente lui quando riceve il medesimo trattamento. Da qui emerge tutta la parte relativa ai cicli interpersonali, autentici minacce alla relazione terapeutica ma grandi opportunità di sviluppo del paziente e della relazione medesima

Nel pomeriggio si è invece tenuto l’intervento di Livia Colle, del quale parleremo in un prossimo contributo.